I grandi classici #8: "Il signore delle mosche" di William Golding

Era il 1954 quando venne pubblicato “Il signore delle mosche”, opera prima di William Golding. E, guarda caso,  Il romanzo d’esordio del premio Nobel per la Letteratura 1983  è  caratterizzato da contenuti altamente distopici. Lo scrittore britannico  non aveva una grande opinione del genere umano , sosteneva infatti che “gli uomini producono il male come le api producono il miele“.  Tale concetto viene riversato in forma di racconto nel suo primo romanzo che occorrerà leggere per scoprire se ci sia ancora una flebile speranza per l’uomo.

LA TRAMA

Mentre il mondo geme sotto i colpi di un conflitto globale, un aereo precipita su un’isola deserta. Il velivolo partorisce dei superstiti che dovranno riprendere in mano le loro brevi vite: sono dei ragazzi in età preadolscenziale e alcuni bambini, senza una guida adulta che li aiuti. Inizia un nuovo gioco: poche e precise regole da rispettare con una piccola società da tenere insieme in attesa dell’arrivo dei soccorsi per il ritorno alla civiltà. Ben presto, le cose iniziano a non andare più nel verso giusto: all’originario clima goliardico si sostituiscono emozioni più cupe dettate dalla paura e da strani comportamenti che incrinano la precaria stabilità del gruppo di giovani. 22861625_1124319237698509_5187629724108280273_o

Come già detto, William Golding, non riponeva molta fiducia nell’umanità e si servì del “Signore delle mosche” per dare corpo alle sue pessimistiche tesi:
l’isola dei sogni si avvierà, con i suoi accidentali ospiti, verso un incubo senza fine.

LA RECE

Il “S22853050_1124025334394566_4734147743119264587_nignore delle mosche” è il demonio. Ma il romanzo di Golding non è un libro satanico malgrado il “male” s’impossessi, mano a mano, della vicenda. Si procede in senso inverso rispetto al percorso che fu del “sommo poeta” nella Divina Commedia: prima il paradiso e poi l’inferno. Stavolta, però, gli inferi non finiscono al centro della Terra con Lucifero ad occupare la scena, ma si inoltrano nei meandri della mente umana dove, solo apparentemente, la ragione ha il predominio sulla paura. Il timore, invece, è sempre in agguato e pronto ad impadronirsi del comando delle operazioni per ridurre tutto ad un barbarico sfascio. Un giorno, qualcuno disse che il contrario dell’amore non è l’odio, ma la paura. In un’ isola paradisiaca, liberi di fare tutto ciò che vogliono, lontano dai “grandi”, i bambini e i ragazzi padroni di un verdissimo microcosmo, potrebbero vivere felicemente in armonia e, per un po’, ci riescono anche. La diffidenza, però, inizia ad insinuarsi ed il dubbio a prosperare rigoglioso come la lussureggiante vegetazione dell’isola. Il dubbio è un terribile mutaforma che diventa facilmente timore, si evolve in paura fino ad arrivare al più destabilizzante terrore trasformando l’uomo, seppur ancora giovane, in una bestia: puro spirito di conservazione senza alcun filtro razionale. La sublime penna di Golding narra il rapido e inarrestabile cammino a ritroso dell’umanità quando, l’equilibrio sopra la follia, si perde inopinatamente.

I FILM

23004542_1124266694370430_1037007778433143433_oIl romanzo è stato omaggiato con due trasposizioni cinematografiche.

La prima risale al 1963: Peter Brook diresse il film omonimo che fu presentato al Festival di Cannes. Venne anche inserito nella lista dei dieci migliori film dell’anno dal “National Board of Review”.

La seconda, invece, è un remake che uscì nel 1990 23032341_1124267554370344_4161649804111543677_nper la regia Harry Hook .

Curiosità: uno dei protagonisti è un ragazzo grassottelo che, in inglese, si chiama “Piggy” come nel libro, mentre nel film del 1963 tradotto in italiano viene chiamato “Il Bombolo”, perdendo un po’ la cifra drammatica della pellicola e prestando il fianco ad una facile ilarità.

IL COMMIATO

Salutiamo il romanzo di William Golding con la speranza che la sua visione pessimistica non abbia riscontro nella realtà, anche se, a ben vedere, la lezione di sociopolitica insita nell’opera da adito a molte riflessioni sul comportamento umano e sul controllo delle masse.
Prima di abbandonarci alle riflessioni che questo romanzo ha il potere di scatenare, ecco l’incipit dell’opera che ci dà modo di respirare le atmosfere dell’isola de “Il signore delle mosche”. Buona lettura.

Il ragazzo dai capelli biondi si calò giù per l’ultimo tratto di roccia e cominciò a farsi strada lungo la laguna. Benché si fosse tolto la maglia della scuola, che ora gli penzolava da una mano, la camicia grigia gli stava appiccicata addosso, e i capelli gli erano come incollati sulla fronte. Tutt’intorno a lui il lungo solco scavato nella giungla era un bagno a vapore. Procedeva a fatica tra le piante rampicanti e i tronchi spezzati, quando un uccello, una visione di rosso e di giallo, gli saettò davanti con un grido da strega; e un altro grido gli fece eco:«Ohè! Aspetta un po’!»
Qualcosa scuoteva il sottobosco da una parte del solco, e cadde crepitando una pioggia di gocce.

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