Recensione: “Lo mangerò tra mille anni” di Valerio Cicero

TRAMA

Mikah, un biondo dinoccolato, dal petto incavato e le spalle larghe, che nasconde sotto un silenzio quasi inviolabile insicurezze e antichi orrori.
Julia è l’opposto: un piccolo concentrato di energia pura, destinata ad essere il centro sociale di ogni cerchia di amici, succubi del suo ego irresistibile.
Mikah è un’ombra piombata all’improvviso dall’Est, da un pezzo di Europa ormai in fiamme, i primi sintomi di un mondo che inizia a tremare dalle fondamenta. Per Julia, il nuovo compagno di classe era invisibile, degno soltanto di qualche fuggevole occhiata di disprezzo e indifferenza. Due infanzie così diverse, in apparenza inconciliabili. Ma l’universo ruota in mille sensi contemporaneamente.
In pochi anni le loro rotte si intersecano, si scontrano e si uniscono oltre ogni logica, mentre l’Occidente ondeggia, sussulta e si scopre fragile, sull’orlo di una guerra che incombe. Davanti a un presente sempre più complicato e impossibile da ignorare, davanti a scelte terrificanti e scoperte pericolose, resterà con loro il ricordo: il diario di bordo del viaggio in Nepal, di quel mese sospeso nel tempo, dove si intrecciano legami duraturi, uniti indissolubilmente verso la verità.

RECENSIONE

Mi sono avvicinato a questo testo con un briciolo di diffidenza, la trama e soprattutto la copertina, mi avevano instillato l’idea di trovarmi davanti al classico romance per cuori disperati.

Ci sono alcuni punti d’incontro con quel genere che, per gusto personale, non riesco ad apprezzare. Pennellate d’amore impossibile, un passato oscuro e una ricerca dell’equilibrio in un mondo pervaso dall’odio, sono solo un contorno necessario a tratteggiare i personaggi.

Il romanzo di Valerio Cicero, edito da Genesis Publishing, affronta tematiche che coinvolgono l’intero mondo attraverso la storia di semplici esseri umani. Pedine su una scacchiera nelle mani dei potenti, incapaci di decidere le sorti del gioco ma coinvolti loro malgrado in una battaglia che non ha nulla a che vedere con quello che gli hanno sempre raccontato.

Metà del mondo brucia e l’altra metà si prepara ad autodistruggersi, nessuno sa cosa si nasconde dietro all’ondata di morte che sta falciando milioni di vite.

L’amore per una persona, la paura della morte, il disgusto per l’orrore ingiustificato… Tutte queste cose l’umanità le conosce da sempre ma non potrà mai affrontarle con leggerezza e semplicità. Le cose importanti saranno sempre le stesse e saranno sempre buone. Non invecchieranno mai. Non si guasteranno mai. Sono il piatto forte dell’umanità, e le potrai mangiare anche fra mille anni.

Ammantato dall’ineluttabilità del destino umano, della nostra tara genetica a nuocere al prossimo fingendo di farlo per il bene dei nostri cari, Lo mangerò tra mille anni è un saggio travestito da romanzo. Pur essendo scritto bene ha una complessità narrativa difficile da incasellare, la storia narrata supera di gran lunga i dialoghi rendendo la lettura meno interattiva e più simile a una memoria collettiva.

Probabilmente l’autore, per la vastità dello scenario socio-politico che ha voluto trattare, ha deciso di dare al romanzo un ritmo meno incalzante per permettere a chi legge di procedere lentamente. I capitoli sono ben strutturati e in ognuno viene rivelato un pezzo del vasto puzzle che compone il titolo dell’opera.

Il romanzo non è perfetto, ma lascio a chi non sa cosa scrivere il piacere di pontificare sulla mancata perfezione. Personalmente credo che sia una buona opera, è scritta bene e si vede il bel lavoro di caratterizzazione dei luoghi e dei personaggi.

A presto

Delos.

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