Recensione: “Malacarne” di Annacarla Valeriano

Buongiorno Amici Lettori ^_^

Oggi voglio parlarvi di un saggio molto particolare.

Come ormai saprete, quando si parla di discriminazione delle donne e manicomi, io prendo posto in prima fila. Perché… non c’è un motivo vero e proprio, semplicemente sento una forte attrazione verso questi temi che ritengo essere davvero importanti.

Malcarne” di Annacarla Valeriano, edito da Donzelli Editore, è un saggio che mostra la dura realtà legata appunto ai manicomi e alla considerazione della società nei confronti delle donne nel periodo Fascista.

Sicuramente immaginerete il legate tra le due cose. Infatti non è una novità che molto spesso in manicomio ci finivano i soggetti considerati “scomodi” piuttosto che pazzi.

Annacarla, citando molteplici opere passate in cui veniva trattato l’argomento “il ruolo della donna” o “donna e sessualità” (giusto per generalizzare), ci aiuta a comprendere la mentalità con cui un tempo le donne dovevano fare i conti. E non mi riferisco solamente allo Stato o ai medici, bensì anche ai familiari stessi delle donne che venivano internate.

Ahimè, bastava davvero pochissimo per essere considerate bisognose di cure psichiatriche, e una volta ricoverate, difficilmente si riusciva a “guarire”, infatti la maggior parte delle pazienti, anche se dimesse, ritornavano in manicomio dopo poco tempo.

Ho trovato questo libro davvero interessante. La mia parte preferita ovviamente è quella legata alle lettere delle pazienti, ritrovate nei loro fascicoli. Lettere che aiutano a capire davvero moltissime cose.

“Storie di vita diverse, ma accomunate dal medesimo destino di emarginazione.”

Questo è un libro che richiede molta attenzione, quindi non leggetelo in un momento in cui avete bisogno di letture frivole o con una trama avvincente, altrimenti potreste trovarlo noioso per la moltitudine di concetti esposti. Leggetelo invece se desiderate capire fino in fondo cosa hanno dovuto affrontare le donne in passato. Immedesimatevi con queste creature e, dopo aver sofferto per loro, gioite per le conquiste che il mondo femminile è riuscito a ottenere nel corso degli anni. Lo so, la strada è ancora lunga.

TRAMA:

A quarant’anni dalla legge Basaglia, che ha sancito la chiusura dei manicomi, riemergono le storie e i volti di migliaia di donne che in quei luoghi hanno consumato le loro esistenze. In questo libro sono soprattutto donne vissute negli anni del regime fascista: figure segnate dal medesimo stigma di diversità che, con le sue ombre, ha percorso a lungo la società, infiltrandosi fin dentro i primi anni del l’Italia repubblicana. All’istituzione psichiatrica fu consegnata, dall’ideologia e dalla pratica «clinica» del fascismo, la «malacarne» costituita da coloro che non riuscivano a fondersi nelle prerogative dello Stato. Su queste presunte anomalie della femminilità, il dispositivo disciplinare applicò la terapia della reclusione, con la pretesa di liberarle da tutte quelle condotte che confliggevano con le rigide regole della comunità di allora. La possibilità di avvalersi del manicomio al fine di medicalizzare e diagnosticare in tempo «gli errori della fabbrica umana» non fece che trasformare l’assistenza psichiatrica in un capitolo ulteriore della politica sanitaria del regime, orientata alla difesa della razza e alla realizzazione di obiettivi di politica demografica, attraverso l’eliminazione dalla società dei «mediocri della salute», dei «mediocri del pensiero» e dei «mediocri della sfera morale». Fu così che finirono in manicomio non solo le donne che si erano allontanate dalla norma, ma anche le più deboli e indifese: bambine moralmente abbandonate, ragazze vittime di violenza carnale, mogli e madri travolte dalla guerra e incapaci di superare gli smarrimenti prodotti da quell’evento traumatico. In questo libro i percorsi di queste esistenze perdute vengono finalmente ricomposti, attraverso l’uso sapiente di una ricchissima documentazione d’archivio: diari, lettere, relazioni mediche, cartelle cliniche. Materiali inediti che raccontano la femminilità a partire dalla descrizione di corpi inceppati e che riletti oggi, con sguardo consapevole, possono contribuire a individuare l’insieme dei pregiudizi e delle aberrazioni che hanno alimentato – e in modo nascosto e implicito continuano ancora oggi ad alimentare – l’idea di una «devianza femminile», da sradicare per sempre dal nostro orizzonte culturale.

Un bacio dalla vostra Distopica Liliana Marchesi

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