Recensione: “I figli della cenere” di Francesca Bertuca

I figli della cenere di Francesca Bertuca - Recensione

TRAMA

Sulla nuova Eurasia, devastata dalla guerra nucleare, piove cenere e i cieli sono oscurati da secoli. Nessuno ricorda i veri motivi che hanno portato al conflitto, né cosa fossero le armi da fuoco o l’energia elettrica. Le cause della rovina sono attribuite alla furia del dio Unico e si crede che solo la venuta di due anime pure, il Corsiero e la Bella, potrà riportare il mondo agli antichi splendori. Alla nascita di Lilienne, erede al trono di Reine, il sole torna a splendere sull’Europa dell’ovest e il re innalza un muro invalicabile per respingere le orde dei miserabili dell’est. Ventidue anni dopo, mentre i potenti di Varsavia e Hanstad si contendono la Bella, Alec, un giovane fabbro, sogna di valicare il Muro con il fratellino malato. Quello che tutti ignorano è che il suo obiettivo non è Reine, bensì giungere fino alla costa, dove lo attendono dei vascelli che conducono in una «terra promessa» al di là del mare. Le sue speranze dovranno però scontrarsi con la dura realtà: l’antica guerra tra Russia e America non è affatto terminata e lui sta per esserne travolto.

RECENSIONE

I figli della cenere, edito da Dark Zone, è un buon esempio della capacità nostrana di creare speculative fiction che non hanno niente da invidiare ai nostri amici d’oltre oceano.

Francesca Bertuca ci trascina in un futuro non ben precisato e altamente distopico. La società è regredita fino ai tempi del feudalesimo, un flagello silenzioso chiamato Fischio Nero minaccia l’umanità, i superstiti vengono sommersi dalla cenere che piove costantemente dal cielo e l’oppressione di vivere si nasconde dietro a ogni angolo.

«Il fuoco consumerà il cielo, la terra e il mare.
La cenere al mondo».

Basandosi su un’ambientazione post nucleare l’autrice ci trascina in una storia corale in cui un muro, il MURO, divide la vita dalla sopravvivenza. Ambizioni, speranze, disperazione e amori si consumano all’ombra di un ostacolo insormontabile e di una ragazza, Lilienne Heidenröslein de Chaques, baciata dal destino.

Nonostante le oltre 550 pagine è un romanzo ben scritto ed estremamente veloce. I dialoghi sono ben cadenzati e una visione ampia della storia ci mostra una regina che ha perso il suo potere, un genitore stravolto dal senso di colpa e personaggi che cercano di rialzarsi dopo aver perso tutto. La guerra, una costante assieme alla cenere, delinea un mondo in cui bisogna combattere anche per un sorriso, in cui l’amore è un lusso di pochi e passa attraverso piccoli gesti.

«Mi mancherai. Non dimenticarlo.»
Si aspettò di sentirlo rispondere, ma il lupo non fiatò. Non sentì il suo alito sul collo, il suo corpo tremare e, per un attimo, fu terrorizzata all’idea di averlo perso. Dischiuse le labbra, mormorando il suo nome e, solo in quell’istante, la mano del ragazzino si insinuò nella sua, timida come quella di un bambino.

«Non lo dimenticherò, madre.»

Come sapete non racconto mai dettagli della storia per non spoilerare, mi limito a darvi un’impressione delle sensazioni che si provano leggendo, in questo caso posso dirvi che pur non essendo un testo nelle mie corde l’ho letto con piacere.

Non tutto è perfetto, ci sono alcune incongruenze tra le tempistiche temporali e i riferimenti di attualità che si possono trovare seminati tra le pagine. L’umanità non può regredire al punto in cui è descritta in pochi anni, la devastazione nucleare non passa in una generazione, eppure il linguaggio e piccoli riferimenti del nostro tempo emergono ogni tanto in qualche passaggio. Sembra quasi che gli elementi distopici/post apocalittici siano stati aggiunti dopo una stesura “più fantasy”. Nulla di trascendente, solo delle piccolissime incrinature, le stesse che avremmo se un dottore ci prescrivesse l’acqua de li mille fiori o il salasso per purgare gli umori maligni. Sappiamo tutti cosa sono ma, al giorno d’oggi, risulterebbero decontestualizzati.

Francesca Bertuca ha fatto un ottimo lavoro, ha scritto un buon romanzo e ha dimostrato di saper stupire il pubblico. Non è perfetto? Pazienza, ditemi un romanzo che lo è!

A presto.

Delos

One Reply to “Recensione: “I figli della cenere” di Francesca Bertuca”

  1. Ciao a tutti!
    Confermo, anch’io ho letto questo romanzo e l’ho trovato sorprendente, specialmente per lo stile di scrittura trascinante, ritmato, e per la capacità dell’autrice di sostenere il peso di un romanzo medio-lungo. I personaggi sono ben diversificati, in ciascuno il tema centrale della cenere, della fuga, del sogno, pulsa in una sfumatura differente ma sempre fulgida. Ho amato in particolare Taras e Alec, ma non menzionare Markus sarebbe un’eresia (e chi ha letto il romanzo sa che è meglio essere fedelissimi all’Unico!).
    Forse, l’unica cosa con la quale non mi trovo pienamente d’accordo è la questione del realismo sulle tempistiche: il romanzo è un’ucronia ambientata, fin dall’incipit, 923 anni dopo la guerra fredda… considerato che ogni generazione dura 25/30 anni, penso che ci sia stato molto tempo per arrivare alla regressione mostrata nel libro e al post-inverno nucleare, però magari è una mia sensazione soggettiva.
    In ogni caso, concordo su tutto il resto! Bella recensione e bravissima autrice, secondo me da tenere d’occhio!

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