Recensione: “Nato per essere il numero 1” di Matteo Mancini.

Terza uscita della neonata collana Dystopica di Delos Digital, Nato per essere il numero 1 di Matteo Mancini è un racconto lungo che ipotizza un futuro nel quale i conflitti religiosi saranno affrontati attraverso uno scontro diretto fra squadre all’interno di un campo da gioco delimitato dalle fiamme e arbitrato da giudici armati. Il gioco però è sanguinoso, la sua regola è la morte, la pietà vi è esclusa. Il giocatore espulso viene abbandonato alla violenza della folla che lo fa a pezzi. Nella realistica descrizione del gioco c’è qualche scena un po’ cruda per i miei gusti personali ma il racconto è sempre efficace, coinvolgente, inquietante.
Emerge nella narrazione la vicenda personale di Jorge Campuita il portiere, che cerca nell’ultima partita, l’ultima battaglia, di trovare il momento del suo grande riscatto. È il tipico dramma del numero 1, destinato a essere sempre il solitario del gruppo, ma anche quello che gioca tutto il suo destino in un atto, un colpo, un’azione, quella decisiva. Ultimo baluardo della squadra, sempre in bilico fra il trionfo e la sconfitta.
L’autore che in passato si è occupato spesso di cinema, sembra adottare anche in questa narrazione uno stile visivo molto efficace e d’effetto. In tutto il racconto si ha una sensazione molto concreta di violenza diffusa, incontenibile, animalesca, tra i giocatori e sulle tribune fra il pubblico. Sembra che la società del futuro abbia bisogno disperato di sfogare un carico incontenibile di ferocia alla quale si è assuefatta e che deve continuamente replicare in una competizione ove l’agonismo è sfida mortale e la posta in gioco è la sopravvivenza ai danni dell’altro.
Quella che si è imposta secondo questa visione distopica è una vita che segue “nefasti sentieri” e a nulla possono servire le parole dette in un ultimo momento di lucidità: “Ucciderci non serve a niente.” Inutile, la società del conflitto ha vinto su quella del dialogo. Resta solo il confronto mortale: si vince, si perde, si vive e si muore. Ma non ci sono mai veri vincitori, c’è solo la guerra di tutti contro tutti.

Resta da far notare il ruolo della contrapposizione religiosa che è alla base di questa distopia. Il contrasto tra fedi religiose in realtà è ridotto a una sorta di medievale Giudizio di Dio. L’unica vera fede è la vittoria perché “La vittoria è sinonimo di verità e la verità è dalla parte dell’unico vero Dio”. Il compito del lettore alla fine non può che essere quello di riflettere seriamente sul destino e sul ruolo delle religioni e sulla loro capacità di ottundere e travolgere le menti.

STEFANO ZAMPIERI

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