IFD: Il futuro addosso.

Cosa sono i dispositivi wearable?
Gli Smart Wearable Systems sono apparati indossabili, modellati attorno al corpo per facilitarne l’uso da parte degli utenti finali: noi, semplici umani aggiornabili.
Fino a ora queste tecnologie erano state integrate all’interno di occhiali, orologi, bracciali, filati tecnici, ma nessuno aveva compiuto il salto definitivo. Fino a ora, appunto. Perché adesso un team di ricercatori della Pennsylvania State University è riuscito ad aggirare tutte le difficoltà tecniche, i limiti fisici dei nostri tessuti organici, e ha creato dei sensori indossabili che possono essere applicati direttamente sulla pelle. Tatuaggi, insomma.

La rivista ACS Applied Materials & Interfaces ha già pubblicato i risultati degli studi di questa nuova tecnologia, definendola innovativa.
La differenza fondamentale consiste nell’aver abbassato la temperatura di sinterizzazione delle nanoparticelle d’argento, e questi tecnici, questi scienziati, ci sono riusciti inserendo una protezione a base di alcol polivinilico e carbonato di calcio nel dispositivo. In pratica: ora, per metterlo addosso, non è più necessario bruciarsi.
Il diavolo sta nei dettagli.
Inoltre il tattoo può essere riutilizzato senza alcun rischio nel rimuoverlo. È tutto molto sicuro sia per quanto riguarda il piccolo apparato che per la nostra pelle.

Fa effetto, vero?
È un mondo incredibilmente futuristico, nuovo, molto seducente.
Ma arrivando al lato pratico, cosa comporterebbero questi tatuaggi rivoluzionari?

Cotanti sensori sarebbero un ausilio importante per monitorare sia la temperatura corporea, che l’ossigenazione sanguigna, o ancora tutto il lavoro dell’apparato cardiocircolatorio. E già queste funzioni basterebbero a incuriosirci, ma pare che con una programmazione o un upgrade diverso i dispositivi possano rilevare anche i sintomi del coronavirus.

Sono balzi in avanti che fatichiamo a capire quante cose cambieranno. Un miglioramento del controllo medico, una velocità maggiore nei soccorsi, un riscontro immediato delle nostre azioni, magari.
Che sia l’ennesimo passo verso la connessione totale?
Che l’idea di cyborg di quando eravamo ragazzini stia prendendo forma?
E questo ci entusiasma soltanto o fa anche paura?

Michela

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