Recensione: “The Decameron Project”.

Nel luglio del 2020 The New York Times Magazine pubblicava una raccolta di 29 racconti scritti appositamente per interpretare questo nostro difficile tempo di pandemia. Il riferimento esplicito è quello al Decameron di Boccaccio dove, com’è noto, dieci ragazzi fuggono dalla peste di Firenze e si rifugiano in collina, e qui per ingannare il tempo si raccontano storie. L’idea del New York Times Magazine è la stessa: raccogliere una serie di storie in questo tempo di pestilenza. E infatti pandemia, lockdown e quarantena sono sempre sullo sfondo, talvolta fanno capolino nelle storie, altre volte sembrano essere ignorati ma sono lì, dietro ogni parola, dietro ogni vicenda, dietro ogni personaggio.

Diversamente da quanto accade nel Decameron, qui la presenza della peste è continua. È lo sfondo su cui si muovono tutti i racconti, è il tessuto su cui si imbastiscono storie di vita quotidiana, storie di famiglie, di condomini, di vicini di casa, di parenti, di conviventi, ecc…

Storie attraverso le quali cerchiamo di esorcizzare questa realtà distopica realizzata che il Covid-19 ci ha consegnato rovesciando il consueto rapporto tra mondo reale e immaginazione.

Queste ventinove storie, di autori tra cui Margaret Atwood, Tommy Orange, Edwidge Danticat, Charles Yu, Rachel Kusher, Colm Toibin e David Mitchell, variano ampiamente per consistenza e tono. In qualche caso appaiono solo come flash, istantanee, frammenti strappati alla vita quotidiana, una vita di tutti i giorni e insieme eccezionale, fuori della normalità, parte di una vicenda che non potremo ricordare se non come un trauma collettivo. E forse queste narrazioni sono destinate ad essere ricordate come un tributo storico a un tempo diverso da qualsiasi altro nella nostra vita.
Diverso anche perché, per una volta, ci ha visti tutti dalla stessa parte. È da notare infatti che i 29 autori rappresentano molte diverse nazionalità: canadese, inglese di origine pakistana, irlandese, francese di origine marocchina, americana di origine cinese, nigeriana, o iraniana, israeliana, serba, etiope, inglese, italiana, mozambicana, brasiliana, haitiana. Mondi differenti ma l’angoscia è la stessa, e persino le reazioni sembrano somigliarsi al di là di ogni confine. Per l’Italia c’è il racconto di Paolo Giordano, l’autore del fortunato romanzo La solitudine dei numeri primi, che ne “Il compagno di viaggio perfetto” mette in scena un conflitto famigliare e generazionale.

Come in ogni antologia, ci sono storie che catturano subito e altre che passano inosservate. Ma non sorprende che il sentimento dominante nella maggior parte dei racconti sia quello di una silenziosa, malcelata disperazione. In qualche caso le storie hanno un finale irrisolto o insoddisfacente ma forse anche questa è una conseguenza del fatto di scrivere mentre l’evento è ancora in corso cioè quando non se ne conosce affatto né la fine né l’esito. Sarà sicuramente interessante rileggerli quando tutto questo sarà finito e misurare la nostra capacità come creatori di storie di interpretare il presente e di comprenderne gli sviluppi.

Ma c’è qualcos’altro che va sottolineato. Questa bella raccolta ci mostra come la narrazione, la letteratura, sappia unire proprio là dove si esalta la separazione, sappia avvicinare quando si è costretti alla distanza. E in questo modo sappia mostrare il lato umano dell’uomo, che è un animale sociale anche quando è costretto in cattività e in solitudine. E che proprio dalla socialità può trarre le energie e le risorse per affrontare i drammi che funestano l’esistenza di noi tutti.

STEFANO ZAMPIERI

“Leggere racconti in tempi difficili è un modo per capire questi tempi, nonché un modo per resistere e superarli.”

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