The Zero Theorem (2013) Regia di Terry Gilliam. Con Christoph Waltz, Melanie Thierry, Matt Damon, Tilda Swinton, Ben Whishaw, Peter Stormare. Durata: 107 minuti.
Tempo fa uno spot pubblicitario affermava che una telefonata poteva allungare la vita. Quello che lo spot però ometteva di dire era che, nell’attesa di una telefonata, la vita allungata potrebbe diventare infernale. È il caso di Qohen Leth (Christoph Waltz) genio dell’informatica che vive in una chiesa sconsacrata, in una Londra di un futuro non meglio precisato ma sicuramente distopico. Eccentrico e tendente all’isolamento, l’esistenza di Qohen è condizionata dall’attesa di una telefonata. Non una telefonata qualsiasi, ma quella che gli darà finalmente le risposte che aspetta da molto tempo, forse da sempre. Intanto, però, deve occuparsi di nuovo progetto affidatogli da Management (Matt Damon), The Zero Theorem. Anche in questo caso non si tratta di un progetto qualsiasi ma del Progetto: la soluzione del mistero sul senso della vita. Inevitabile che in una situazione di questo genere manchi un progressivo esaurimento nervoso: Qohen oltre ad essere schiacciato da queste pesantissime incombenze, deve gestire le incursioni della femme fatale Bainsley (Melanie Thierry) e di Bob (Lucas Hedges), figlio prodigio di Management.
Dov’è il confine fra la realtà e l’immaginazione? Dov’è il confine fra la normalità e l’alienazione? Difficile, se non impossibile dare una risposta ma proprio su questi confini più simbolici che fattuali, Terry Gillian, ci ci ambienta un film: “The zero Theorem – tutto è vanità”. Dichiariamo subito che non siamo sui livelli artistici di “Brazil” ma nella sua evoluzione più contemporanea e forse, per questo, meno suggestiva: purtroppo siamo già ben avviati verso l’alienazione e siamo già molto virtuali. Il discorso di Gilliam sullo sbando dell’umanità prosegue con il suo incedere fatto di immagini evocative, di scene dal forte impatto visivo a scapito di un più tradizionale e lineare processo narrativo. “The zero Theorem” non è un film ad alta fruibilità, bisogna lasciarsi andare e farsi cullare dalle increspature del flusso creativo che permea tutto il film. Ogni tanto ci si perde in qualche ristagno, più di frequente si ammirano sogni tramutarsi in incubi e viceversa.
Riccardo Muzi