Recensione (anime): “Cowboy Bebop”

Buongiorno a tutti e ben ritrovati,

oggi vi parlo di Cowboy Bebop, una serie di 26 episodi prodotta dalla Sunrise nel 1998 e diretta da Shin’ichirō Watanabe. Una delle più belle storie che mi sia capitato di vedere e, a mia modesta opinione, una delle migliori opere fantascientifiche dell’ultimo ventennio.

2021, a causa di un incidente a un gate spaziale sperimentale una parte della Luna viene distrutta e i frammenti bombardano la Terra sterminando gran parte della popolazione.

2071, a cinquant’anni dalla tragedia, i sopravvissuti hanno abbandonato la Terra per colonizzare il Sistema Solare. Marte è diventato il nuovo pianeta cardine della vita, centro dello sviluppo delle colonie e di tutta la malavita che ha prosperato nel caos dopo la devastazione. Il Red Dragon Crime Syndacate è la più potente organizzazione criminale del Sistema Solare e la ISSP (la polizia spaziale) non ha i mezzi per contrastarla. Il Governo è stritolato dalle spire del Red Dragon e non ha i mezzi per liberarsi, come ultima speranza per contrastare la delinquenza si affida ai cacciatori di taglie (detti cowboy) affidandogli il compito fare ciò che la ISSP non può fare.

Su questo sfondo si muovono gli sfortunati e poco convenzionali membri dell’astronave Bebop, uno scassone spaziale che assorbe in manutenzione quasi tutti i premi delle taglie.

Jet Black, ex agente della ISSP, Spike Spiegel, ex sicario del Red Dragon, Faye Valentine, truffatrice perseguitata dai debiti, Edward Wong Hau Pepelu Tivrusky IV, hacker abbandonata dal padre e Ein, un cane geneticamente modificato, condividono lo spazio sulla Bebop travolti dalle loro vicende personali.

Cowboy Bebop è caratterizzato da un profondo senso di solitudine e di rassegnazione, i protagonisti sono tormentati da un passato che non vuole abbandonarli e che ne condiziona l’esistenza. Ogni puntata ha un risvolto malinconico e tragicomico, la società viene drammatizzata dalle sfortune quotidiane mentre la vita si trascina lungo binari che scompaiono all’orizzonte. Ogni personaggio ha una storia da raccontare, un demone da esorcizzare e una lacrima da versare per qualcuno.

L’apparente leggerezza dei primi episodi scema velocemente sulle note blues di Yōko Kanno, che ha composto una colonna sonora strepitosa. Watanabe usa i colori per enfatizzare i sentimenti e gli stati d’animo, creando un effetto suggestivo che avvolge lo spettatore senza bisogno della parole.

Poche opere sanno superare indenni il loro momento di gloria e ancora meno riescono a emozionare rivedendole dopo tanto tempo, Cowboy Bebop ci è riuscita. E’ una serie, molto breve, che ha scosso l’animazione mondiale e che riesce ancora a distanza di vent’anni a essere unica.

See you space cowboy…

Delos

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