Mysterious Writer: Stefano Tevini.

Stefano Tevini nasce il 2 aprile 1981. È laureato in filosofia, anche se qualcuno ancora non ci crede. E’ un lettore compulsivo, e se facessi un salto in casa sua ci crederesti. Dicono colto, dicono grezzo. Forse ambedue. Tanto Stefano Tevini è vasto, e dentro di lui c’è spazio per tutte le contraddizioni che ti vengono in mente. Stefano Tevini scrive. Romanzi: Vampiro Tossico e Testamento di una Maschera (La Ponga Edizioni), Storia di Cento Occhi (Safarà editore), Catena Alimentare (Lambda House), e prossimamente Sulla Soglia (con Giovanni Peli, in pubblicazione per da Calibano Editore), ma anche racconti: Riassunto delle Puntate Precedenti (Augh! Edizioni). Stefano Tevini è anche un lottatore di wrestling, che forse è più incredibile della laurea in filosofia, ma se cerchi il suo alter ego Onorevole Beniamino Malacarne scoprirai che è altrettanto vero (la laurea la trovi appesa al muro a casa sua.)

Sono un po’ emozionato, Stefano Tevini è il primo ospite che accolgo da quando l’esorcismo per scacciare la Boss ha funzionato. Tania ha iniziato la ristrutturazione, dice che vuole dare al bunker un tocco più intimo. L’idea è buona ma la sua schizofrenia da personalità multipla sta complicando i lavori. Per un brevissimo battito di ciglia ho rimpianto la confortevole monotonia delle camere di tortura della Boss, ora è un esplosione di colori e di teschi, di pelle di serpente e unicorni rosa…

Il campanello urla e vado ad accogliere il nostro ospite.

D – Ciao Stefano, ben arrivato. Prego, accomodati e mettiti a tuo agio.

Sorride e si toglie la giacca.

Strano, perché indossa un maglione di lana ruvida?

Impiego un attimo a capire che è a torso nudo. Sento il clack della porta che si chiude e il mio incubo peggiore mi si affaccia alla mente, sono imprigionato in una stanza con un omone peloso barbuto!

D- Tania! Dove sei? Non lasciarmi solo…

Guardo nel cassetto, nell’incavo delle babbucce di grizzly e sotto lo zerbino. Non c’è, non la trovo, sa nascondersi benissimo.

S- Ti serve una mano? Cerchi qualcosa?

D- La MiniBoss… niente lascia stare. Se per te va bene possiamo iniziare con l’intervista. Ti va di raccontarci chi sei con un’immagine o un’impressione artistica che non sia una biografia?

S- Prendo in prestito una foto che alcuni amici avevano trovato per prendermi in giro: un orso che pedala, presa dalla notizia reale di un orso che era scappato in bici da uno zoo. Aggiungi una pila di libri sul portapacchi, e ci siamo.

D- Ah, interessante. Hai portato la foto?

Mi fa segno di no, sorrido, meglio non contraddirlo.

D- Hai fatto benissimo a non portarla, l’hai descritta così bene che solo gli sciocchi vorrebbero vederla. Ma andiamo oltre, raccontaci come sei arrivato alla scrittura.

S- Da sempre cercavo una forma di espressione artistica, ma sono incostante e ho una pessima manualità. Ho provato con il disegno e con la musica, sempre con risultati prossimi allo zero. Con le parole, con le storie, me la sono sempre cavata bene ma non mi ritenevo all’altezza della scrittura, non credevo di saperne abbastanza. E invece una domenica stavo cazzeggiando sul sito di Wu Ming, dalla pagina dei link dei siti amici ho raggiunto Anonima Scrittori, il collettivo di cui ho fatto parte e che porto nel cuore. Una banda di teppisti rissosi e senza troppo senso del tatto. Ma avevamo anche dei difetti. E un livello di discussione stellare. Grandi amici, che mi hanno portato a smettere di tirarmi pippe mentali e iniziare a scrivere. E così ho iniziato con “Agenti di commercio” il primo racconto che si trova sulla mia raccolta di racconti “Riassunto delle puntate precedenti”. E non ho più smesso.

D- C’è stato il momento in cui tutto andava male, in cui la distopia ti schiacciava, ma come ogni eroe cyberpunk, hai stretto i denti e preso l’imperfezione per trasformarla in quello che sei ora?

S- Non più di due anni fa ero in burnout sparato per il lavoro. Odiavo il lavoro che facevo, soprattutto da quando il vecchio capo si è pensionato ed è arrivato quello nuovo, di cui mi limito a dire che è la perfetta espressione del pensiero delle multinazionali. Poi consideriamo una coincidenza che alcune delle mansioni della sua compagna, che lavora come impiegata amministrativa nello stesso ufficio, sono magicamente passate da lei a me. E tante altre situazioni che non reggevo più. Insomma, sono entrato dritto in burnout. E mi sono detto che basta. Mi sono preso il mio tempo, ho mollato questo lavoro e ho trovato il mio lavoro attuale, copywriter. Scrivo per lavoro, e ne sono felice.

D- Scrivi per lavoro, caspita, è il sogno di moltissimi. Come organizzi le tue sessioni di scrittura “extra lavoro”.

S- Banalmente, procrastino. Mi perdo via. Cazzeggio. Inizio a trovare interessante persino il ciclo riproduttivo dei microbi che vivono nella lana delle capre tibetane. Poi a un certo punto la marcia si innesta da sola e inizio.

D- Genio e fantasia, incredibile (meglio tenerselo buono). Abbiamo letto e recensito il tuo ultimo romanzo “Catena Alimentare”, ci piacerebbe sapere cosa ti ha spinto a scriverlo.

S- Catena Alimentare è nato come un progetto per un corso di scrittura. Poi il corso è finito, la scrittura direi di no. Voleva fin da subito essere una critica al liberismo, in particolar modo a quel culto del risultato che spiana del tutto la complessità del mondo e semplifica ogni cosa in maniera stupida e nefasta, e un attacco a quella richiesta di adesione. Devi farti sfruttare e ci devi pure credere, devi essere felice di stare in un sistema di merda basato sullo sfruttamento delle persone e sull’appiattimento dei conflitti. Credo che ci si lascia trasformare dall’ideologia liberista diventi un po’ come Gootchi. Conta che inizialmente tutti i personaggi dovevano avere i nomi delle grandi marche, ma per evitare casini legali abbiamo virato su una traslitterazione vagamente fonetica. Poi ho avuto l’idea del rovesciamento di un altro modello che trovo profondamente illusorio, quello del viaggio dell’eroe. Catena Alimentare ha quella struttura ma la sovverte annegandola nel sangue e nel dolore. Perché la formazione non è per forza evoluzione. Anche le SS a modo loro seguivano un percorso di formazione. Insomma, ho voluto lanciare una molotov letteraria contro quel paio di modelli che mi stanno cordialmente sui coglioni.

Non ha peli sulla lingua. Lo osservo grattarsi il petto villoso, Li ha tutti addosso.

D- Spesso la strada di uno scrittore inizia da lettore. Chi erano i tuoi autori preferiti ai tempi? Sono ancora gli stessi?

S- Ho iniziato a scrivere a 23 anni e molti degli scrittori che amo sono ancora quelli. Grant Morrison, Alan Moore, Albert Camus, Jean Claude Izzo per dirne alcuni. Tra le belle scoperte di questi ultimi anni direi Julia Von Lucadou, Matteo Meschiari, Paolo Zardi e Violetta Bellocchio.

D- Cosa ti piace leggere? Ci sono dei testi che ti andrebbe di consigliare al nostro pubblico?

S- Sono onnivoro. Davvero onnivoro.

Oddio, vuole mangiarmi! Minion dove ti sei cacciata? Guardo nel portapenne, non è nemmeno qui.

S- Amo i fumetti e la fantascienza ma leggo davvero di tutto. Come saggistica, per esempio La Grande Cecità di Amitav Ghosh, testo fondamentale se si parla di letteratura e contemporaneità, e tutti i libri di Nicholas Nassim Taleb che ritengo un grande filosofo. A livello narrativo davvero dipende. Ne tiro a botto un paio: L’ora del mondo di Meschiari e Binti di Nnedi Okorafor. A livello fumettistico Grant Morrison. Tutto. Grant Morrison è dio.

D- Gran bei titoli, veramente, soprattutto Morrison. Tornando alla distopia, che tanto ci è cara, che difficoltà deve affrontare chi vuole tentare di seguire la tua strada?

S- Oggi la distopia è di moda, ma sta già passando. Stiamo entrando in piena fase “che coglioni la distopia”. Il mio consiglio è scrivete quello che volete ma cercate di capire come vestirlo. Magari fatelo passare da qualcos’altro. L’editoria vive di pregiudizi, non di rado senza averne i titoli visto che le poche volte che sforma un successo vero e proprio nessuno sa com’è stato possibile e come fare a replicarlo. Parliamo di una non industria che si comporta da industria. Cercate di usare le etichette quando fanno comodo e di rifuggirle quando passano di moda. Triste, ma vero.

Non ho il coraggio di dirgli che non ha capito la domanda. Annuisco e sorrido.

D- Molto saggio. Già che siamo in argomento ti va di dirci com’è il mondo dell’editoria? Che persone hai incontrato lungo il tuo percorso?

S- L’editoria non si differenzia dagli altri gruppi umani. Grandi amicizie, esperienze umane fondamentali ma anche persone che prenderesti volentieri a testate. Bazzicando l’editoria a livelli modesti ho incontrato persone che mi hanno fatto crescere moltissimo, menti veramente eccelse, e leccaculo buoni a frequentare le feste giuste e a ingraziarsi le persone convenienti pur di avere una scodella di farina, ma letteralmente non di più. In generale, un settore che si regge sulle illusioni, sulle proiezioni e sui giochi di potere. L’editoria sta in piedi con la passione di pochi, ma se gratti la superficie che luccica sotto trovi plastica cotta al sole e pronta a sgretolarsi.

D- Parli apertamente, e questo lo ritengo un gran pregio. Qual è il tuo peggior difetto?

S- Difetti. Io. Non dire cazzate.

D- Che progetti hai per il futuro?

S- Un romanzo realistico già in lettura a chi di dovere, una novella pulp, un romanzo sulle intelligenze artificiali e uno sulla radicalizzazione politica di estrema destra. A ottobre esce un distopico a quattro mani che ho scritto con Giovanni Peli, un amico cantautore. Ci siamo divertiti molto e stiamo progettando un bis.

D- Torniamo all’inizio, a quella bella descrizione che non necessitava di una foto, ti va di dirci cos’ha di speciale il modo in cui ti sei mostrato?

S- L’orso sono io. Grosso, grezzo, sia di stazza, sia nei modi di fare. Sono piuttosto diretto ed è difficile arrivare a salirmi metaforicamente sui testicoli, ma quando ci arrivi poi non ho mezze misure. Un orso in bici fa ridere, e la mia ironia è proverbiale. I libri sono semplicemente il motivo per cui sono al mondo. Oltre che un contrappeso non da poco nell’immagine.

Guarda l’orologio e si alza. Se deve andare non sarò di certo io a trattenerlo.

S- Grazie a tutti per l’attenzione. E mi raccomando, leggete, leggete, leggete!

Gli allungo la mano ma invece di stringerla mi afferra e mi abbraccia. Vedo il suo pelo avvicinarsi alla mia faccia, provo a resistere ma è troppo forte, ci affondo dentro. E’ uno di quei momenti che ti segnano a vita, non dimenticherò mai questa cosa… rimpiango la Boss.

Lo guardo andar via e poi svengo.

Delos

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