“La peste scarlatta” di Jack London.

In questi tempi di pandemia è inevitabile, per chi frequenta i territori della distopia, ripensare alle tante opere letterarie e cinematografiche nelle quali il movente della tragedia è, appunto, la diffusione di un virus letale. Ma chi ha memoria e amore per i grandi classici dovrà per forza tornare a leggere La peste scarlatta (1912) di Jack London. Perché in quel breve romanzo London getta le basi di un intero filone narrativo.
Il romanzo in questione, insieme a Il vagabondo delle stelle (1915) e Il tallone di ferro (1908), costituisce il trittico fantascientifico di Jack London, meno noto del suo filone di romanziere d’avventura, ma non per questo meno rilevante.
La peste scarlatta è un romanzo narrato, nel senso che le vicende sono riportate da un vecchio sopravvissuto alla strage portata dal virus della peste scarlatta, ai giovani nipoti di alcuni altri sopravvissuti. Dunque un libro di memoria in un ambiente post apocalittico, una California ricaduta in una condizione primordiale. Il protagonista, un vecchio professore, dopo anni di isolamento assoluto, sente il bisogno di raccontare, di ricordare, di confrontarsi e lo fa con i ragazzini ignari di tutto, nati in un nuovo mondo che deve ripartire da capo senza sapere cosa è successo, senza conoscere le grandi scoperte dell’uomo che ormai sono sparite dalla realtà e anche dalla memoria. Il romanzo propone un finale aperto dal quale si intuisce che il vecchio, lui uomo del passato, forse ha ancora qualcosa da insegnare alle nuove generazioni, quelle che ricostruiranno l’avvenire dell’umanità.


La peste come strumento provvidenziale o punizione divina o comunque nemico più forte di qualsiasi essere umano e di fronte al quale l’umanità è costretta a fare i conti con se stessa, è un argomento che si potrebbe ripercorrere attraverso tutta la cultura occidentale, dall’Edipo di Sofocle all’Iliade, da Boccaccio a Manzoni, dalla Mary Shelley de L’ultimo uomo al Defoe de La peste di Londra. A pieno titolo La peste scarlatta si inserisce su questa linea dandogli però una nota tragica, negativa e pessimistica.
Il romanzo è ambientato a sessant’anni di distanza dalla catastrofe avvenuta nel 2013 in una società dominata dal Consiglio dei magnati dell’industria, un’espressione che richiama il profilo della società capitalistica disumana e approfittatrice che London ha sempre avversato. È colpa di questa società se la piaga ha dilagato in mezzo a violenza ed egoismo, invece di essere affrontata con spirito di solidarietà. Ma ormai il danno è fatto. Il genere umano deve ricominciare, ma se non sarà in grado di ricordare ciò che è accaduto, il suo destino sarà segnato, esso sarà condannato a ripercorrere la stessa strada e si ritroverà nello stesso dramma: “Niente potrà impedirlo… la stessa vecchia storia si ripeterà. L’uomo si moltiplicherà e gli uomini si combatteranno. La polvere da sparo permetterà agli uomini di uccidere milioni di uomini, e solo a questo prezzo, con il fuoco e con il sangue, si svilupperà, un giorno ancora lontanissimo, una nuova civiltà. E a che pro? Come la vecchia civiltà si è estinta, così si estinguerà la nuova”. Difficile immaginare esortazione più attuale.

STEFANO ZAMPIERI

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