Recensione: “Helgoland” di Carlo Rovelli.

Non è un romanzo, non è fantascienza, non è distopico, eppure per chi ama questo mondo è forse una lettura indispensabile. Sappiamo che un legame strettissimo connette lo sviluppo di tutte le correnti di letteratura fantascientifica con lo sviluppo della scienza moderna. Da Verne in poi la letteratura si è assunta il compito di mettere su carta i sogni e le immaginazioni, le speranze e le paure della scienza e della tecnica, e di costruire il profilo di un mondo futuro così come la Tecnoscienza ci consente di immaginare, dai viaggi sulla luna, ai robot, alle città supermoderne, alla colonizzazione dello spazio… Sullo sfondo c’è sempre la scienza, che sia quella positivistica galileiana e newtoniana dell’800, sia quella futuristica del primo novecento, che si scontra con le immense trasformazioni della nostra percezione dello spazio-tempo indotte dalle invenzioni dei nuovi mezzi di trasporto, o delle nuove forme di comunicazione. Sia poi quella inquietante che ci è consegnata dalle due guerre mondiali e dagli orrori che esse introducono, prima con i macelli delle trincee e dei gas e poi con l’incubo atomico. Infine la svolta contemporanea dell’informatica, della rete, e di tutte le incognite per il mondo di domani che esse ci portano. Dietro tutta la letteratura di fantascienza dunque in tutte le sue forme c’è sempre la Tecnoscienza e le sue problematiche, più o meno implicite, più o meno consapevoli.
E ora? E oggi? Oggi la frontiera della Tecnoscienza è la dimensione dei quanti. È questo il punto estremo della conoscenza umana allo stato attuale, ma la novità sconvolgente è che si tratta di una conoscenza ”profondamente misteriosa e sottilmente inquietante” come dice esplicitamente il fisico Carlo Rovelli in questo splendido libro, che è appunto una ricostruzione divulgativa ma per niente superficiale, anzi, della fisica quantistica, e soprattutto un riflessione sulla complessità di questa disciplina che ha radicalmente mutato il percorso della scienza contemporanea, avviandola però in una direzione oscura: “È stato un risveglio brusco dal sonno felice in cui ci avevano cullato le illusioni del successo di Newton. Ma è un risveglio che ci riporta al cuore pulsante del pensiero scientifico, che non è fatto di certezze acquisite: è un pensiero in movimento continuo, la cui forza è proprio la capacità di rimettere sempre in discussione ogni cosa e ripartire, di non aver paura di sovvertire un ordine del mondo per cercarne uno più efficace, e poi rimettere ancora tutto in discussione, sovvertire tutto di nuovo.”
Oggi dunque la teoria dei quanti è quella prospettiva che ci invita a vedere il mondo fisico come una rete di relazioni, di cui gli oggetti sono i nodi, una rete di cui noi stessi siamo parte integrante, non dunque soggetti impegnati a conoscere una supposta oggettività esterna, ma al contrario sguardi che influenzano con la loro sola presenza la visibilità degli oggetti stessi. Dunque è una teoria che fa emergere in modo inquietante la connessione fra noi e tutte le cose dell’universo. Se appena ci avviciniamo all’infinitamente piccolo ci accorgiamo che le solide certezze degli oggetti che ci circondano si fondono in una sequela di movimenti imprevedibili e inarrestabili. Riporto in chiusura una riflessione di Rovelli che sembra contenere in sé il germe di una intera letteratura distopica: “Il mio amico Lee mi ha raccontato che quando da ragazzo ha studiato l’entanglement ha poi passato ore sdraiato sul letto a guardare il soffitto, pensando che ciascun atomo del suo corpo aveva interagito in un qualche lontano passato con tanti atomi dell’universo. Ciascun atomo del suo corpo doveva quindi essere allacciato con miliardi di altri atomi sparsi nella galassia… Si sentiva mescolato col cosmo.”


STEFANO ZAMPIERI

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