Recensione: “Il pugno dell’uomo” di Davide Del Popolo Riolo.

“Il pugno dell’uomo” di Davide Del Popolo Riolo, premio Urania 2019, è uno di quei romanzi che hanno il loro segreto nell’articolata costruzione di un mondo futuro alternativo e insieme inquietante.
Colpisce molto che anche in questa variante distopica del nostro avvenire il potere sia nelle mani di una aristocrazia corrotta. Bisognerà riflettere un giorno su questa diffusa mancanza di fiducia da parte degli scrittori distopici nei confronti della democrazia. Forse, agli scrittori che sanno vedere al di là dell’immediato, appaiono più evidenti certe fragilità del nostro sistema politico che noi oggi sottovalutiamo?
Nel mondo descritto da Del Popolo Riolo si fronteggiano dunque i discendenti di una famiglia cui per diritto spetta da sempre il governo e un’opposizione clandestina e perseguitata. L’aristocrazia vive nelle torri patrizie, mentre la città è abitata dai Pallidi che vivono succhiando il sangue, i Grigi e gli Uomini-pesce, categorie inumane digradanti verso la bestialità.

Mentre si diffonde un morbo sconosciuto, accadono omicidi e lotte di potere. L’aristocrazia con la scusa dell’epidemia si scaglia contro gli inumani e, in particolare, contro i Pallidi che al contrario degli altri sono riusciti a conquistare un livello di vita simile a quello dei patrizi. Ne segue una dinamica facilmente paragonabile a quella della persecuzione degli ebrei. E il gruppo detto “Il pugno dell’uomo” è un’associazione xenofoba e violenta che richiama appunto il modello del partito nazista.

Dopo una prima parte più descrittiva e meditativa, il finale mostra un cambio di passo significativo che porta i numerosi personaggi verso la stretta conclusiva, anche con una proiezione “Vent’anni dopo”.

Singolare è in tutto il romanzo la scelta di alternare voci in prima seconda e terza persona. Ciò dà alla narrazione un senso di pluralità dei punti di vista molto originale ed efficace. Se a ciò si aggiunge il fittissimo intreccio, è facile farsi un’idea del talento narrativo dell’autore. Per quanto io non ami in modo particolare l’ambientazione steampunk vittoriana, miscela di riferimenti storici astrusi, dalle macchine a vapore alle mode tra il settecentesco e la Roma imperiale, bisogna tuttavia ammettere che l’effetto è di singolare coerenza.

Ciò che resta al lettore, a mio avviso, alla fine del percorso narrativo, è questa immagine di una Città che porta all’estremo semi di odio, di violenza, xenofobia, razzismo, ingiustizia sociale già presenti nelle nostre città di oggi. E’ un testo che attrae e diverte, dunque, ma ci costringe a pensare.

STEFANO ZAMPIERI

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