Recensione L’evoluzione di Andromeda

Parlando di questo “L’evoluzione di Andromeda” devo fare una piccola premessa: io sono un fan sfegatato di Crichton e ancora di più di quel “The Andromeda Strain” che è stata una delle mie letture preferite ai tempi. Per cui non posso necessariamente essere totalmente obiettivo in queste mie impressioni a caldo.

Il progetto editoriale

Partiamo quindi con una regressione squisitamente editoriale, che ha portato chiunque abbia avuto modo di vedere il libro in una libreria o online a sussurrare qualcosa di simile a un “WTF?!?“.

L’idea d’impatto è quella di essersi persi un qualche titolo dell’autore, o che sia addirittura una biografia di qualche genere. L’unica cosa in evidenza infatti è il nome, quel “MICHAEL CRICHTON” scritto a caratteri cubitali in copertina, facendo passare tutto il resto in secondo piano.

Solo dopo un’attenta analisi si può scoprire che si tratta di un seguito della sua opera a cinquant’anni dalla sua uscita, scritto però da altra mano, per la precisione quella di Daniel H. Wilson (anche se il sotterfugio di scrivere nella cover un “CON” che lascia intendere ci sia non si sa come la mano anche dell’originale è al limite dello scorretto).

In ogni modo, non posso lasciarmi sfuggire l’occasione di leggerlo, malgrado come vengo poi a sapere in seguito leggendo commenti in merito, il libro in realtà sia stato scritto prendendo spunto da qualche dattiloscritto lasciato da Crichton che la vedova ha prontamente messo a disposizione per un nuovo prodotto proprio in occasione dell’anniversario. Una mossa commerciale ovviamente, ma sinceramente non ci vedo nulla di male in questo, purchè le cose siano chiare e il libro valido.

Di cosa parla il libro

Dopo questa doverosa premessa, veniamo al contenuto. Il libro ci porta esattamente a cinquant’anni dopo gli eventi narrati in “The Andromeda Strain” e lo fa raccontandoci in qualche modo subito il finale. Nei ringraziamenti di inizio libro infatti, scopriamo che c’è stata una crisi durata cinque giorni che avrebbe potuto spazzare via il genere umano e l’intera vita sul nostro pianeta. Sappiamo che fortunatamente le cose sono andate in maniera diversa, che il merito è stato di una coraggiosa squadra facente parte del progetto “Wildfire”, che non tutti i membri della squadra sono sopravvissuti e che la colpa è ancora una volta dell’evoluzione di quella particella nota come “ceppo Andromeda”.

Quello che troviamo nel libro quindi, è lo scorrere degli eventi di quei cinque intensi giorni, narrati attraverso le testimonianze dirette raccolte dal diario di viaggio della squadra, dai superstiti e dalle varie strumentazioni video ritrovate.

Recensione di L’evoluzione di Andromeda

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Crichton non c’è più, se non per i suoi appunti, ma è evidente che l’intenzione primaria è quella di strizzare l’occhio al suo stile e al suo modo di raccontare.

E in effetti tutto parla di lui, dalle sue citazioni in apertura di ogni capitolo ai richiami alla prima storia di Andromeda (ivi compreso uno dei personaggi del primo volume).

Se fosse un film sarebbe facile definirlo “un’Americanata”, ricco di azione, suspanse e continui colpi di scena. Anche lo sviluppo è dei più classici, con la situazione che diventa mano a mano più drammatica, il gruppo di protagonisti che si assottiglia e le inevitabili (quanto a volte improbabili) soluzioni che permettono di fare un passo avanti lo stesso.

Proprio queste soluzioni al limite dell’incredibile, sono al contempo croce e delizia del romanzo. Se da una parte puntano a creare un forte sense of wonder infatti, dall’altra bisogna letteralmente abbandonarsi alla sospensione dell’incredulità per poterne godere in pieno. Altrimenti tutto risulta inevitabilmente al limite dell’impossibile, finanche del grottesco.

I personaggi soffrono in qualche modo di aver concentrato tutto sullo sviluppo dell’azione, finendo per essere più pedine che protagonisti con un qualche spessore, se non quello stereotipato del ruolo e del carattere che gli è stato cucito addosso.

Insomma la lettura fila via liscia come l’olio e non si può certo dire di annoiarsi nel mentre. Però a mio personalissimo parere, è tutto un po’… troppo. Esagerato. La voglia di stupire che sovrasta di gran lunga quella della moderazione. L’ombra di Crichton del resto è davvero troppo ingombrante per permettere a un qualcosa di non altrettanto luminoso di splendere parimenti.

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