Recensione: “Il mondo sommerso” di J. Ballard.


Pubblicato nel 1962, Il mondo sommerso (The Drowned World) appartiene alla primissima stagione di James Ballard e per la precisione a quella tetralogia catastrofica che contiene anche Vento dal nulla, Terra bruciata e Foresta di cristallo. Sono i romanzi con cui Ballard getta le fondamenta di un percorso personale di revisione del genere fantascientifico virando verso la dimensione distopica che mette in scena la prevedibile devastazione futura del pianeta. Nel caso de Il mondo sommerso il contesto è quello di un mondo trasformato in una immensa palude dall’innalzamento del clima e conseguente aumento del livello dei mari e delle piogge. La popolazione umana sopravvissuta si è trasferita sempre più a nord in cerca delle ultime terre asciutte. Il protagonista Robert Kerans è un ricercatore al seguito di una squadra, guidata dal colonnello Riggs, con il compito di studiare quello che resta delle città sommerse. Il gruppo vive ai piani alti dei palazzi e lotta con temperature insopportabili e i violenti raggi solari.
L’ambiente circostante appare sempre più invivibile, trasformato progressivamente in una giungla selvaggia popolata di coccodrilli e di iguane. Quando la squadra riceve l’ordine di andarsene Kerans e altri due si rifiutano di abbandonare le loro postazioni e restano soli in quell’ambiente malsano e invivibile, nutrendosi di carne di iguana e subendo progressivamente un processo di regressione a una condizione primitiva corrispondente alla regressione subita dall’ambiente dove ormai dominano liane, alghe e rampicanti.
L’arrivo di un gruppo di balordi guidati da uno psicopatico ricercatore di tesori abbandonati è il culmine della tragedia per il protagonista, torturato e quasi ucciso. Salvato in extremis dal ritorno della squadra di Riggs, Kernas deciderà infine di andarsene verso sud sapendo di non avere alcuna possibilità di sopravvivenza ma tenacemente aggrappato all’idea che un mondo vivibile possa esistere.

“Così, abbandonò la laguna e si addentrò nuovamente nella giungla. Nel giro di qualche giorno si perse completamente, seguendo le lagune che si susseguivano verso sud nella pioggia e nel calore sempre più intensi, attaccato dagli alligatori e dai pipistrelli giganti, un secondo Adamo alla ricerca dei paradisi dimenticati del sole rinato.”

Ritroviamo qui il Ballard ossessivo e claustrofobico che abbiamo imparato a conoscere da tanti romanzi. Lo sua visione è sempre quella pessimistica di chi non vede mai uno spiraglio di luce nella tenebra. Forse l’elemento simbolico decisivo in tutto il libro è proprio il sole, ciò da cui dipende la vita della terra ma anche responsabile con le sue tempeste del violento innalzamento della temperatura, fonte di raggi pericolosi, di radiazioni mortali. Allo stesso tempo è la presenza costante in tutta la narrazione, ciò con cui i sopravvissuti si confrontano continuamente: fonte della vita e ragione di morte. Padrone del destino dell’uomo. E forse anche motore di una regressione della vita verso il caos primigenio dove forze brutali e mostruose s’impegnano a spazzare via ogni sogno umano di ordine e di civiltà.


STEFANO ZAMPIERI

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