Solarpunk o Distopia?


Se ne parla molto, qualcuno la ritiene la vera frontiera del genere, ma cos’è il Solarpunk? Tra le tante pieghe della letteratura di fantascienza, il Solarpunk è una delle più recenti. Il suo manifesto ha la forma di un breve articolo di Adam Flynn, Solarpunk: Notes toward a manifesto, pubblicato su «Hieroglyph» il 4 Settembre 2014. Qui si sostiene che di fatto Solarpunk è una reazione “alla negazione e alla disperazione”, un tentativo di progettare un futuro sostenibile per noi e per chi verrà dopo di noi. Contro le forme nichiliste o reazionarie del Cyberpunk o dello Steampunk. E il suffisso punk è lì a designare la volontà di progettare senza costrizioni, senza limitazioni, dunque, aggiungo io, senza ideologie, in piena libertà, attraverso tutte le forme del “dissenso innovativo”, e cita Ghandi. Fino a qui direi si tratta di una prospettiva ampiamente condivisibile, poi però vengono i suggerimenti e gli esempi e allora l’imbarazzo cresce: vita di frontiera, ma con più biciclette; riutilizzo creativo delle infrastrutture esistenti; alta tecnologia ma con output “semplici ed eleganti”; sistemi di irrigazione terrazzati; le città intelligenti superate “a favore della cittadinanza intelligente”.
Flynn parla di un “giardino edoardiano in stile art nouveau”, per un futuro con un volto umano.
C’è un primo punto da chiarire per distinguere Distopia da Solarpunk, e cioè che la narrazione distopica parte da ciò che c’è, e non fa altro che portare alla sua tragica conseguenza un presente che è sotto gli occhi di tutti. Il distopico in un certo senso è un realista estremo, o meglio come preferisco dire io “critico”, perché non c’è distopia autentica se non ha un contenuto critico rispetto alla società che viviamo ogni giorno.
Il Solarpunk invece ha la pretesa di costruire un bel futuro senza mai assumersi l’onere di spiegarci come ha risolto tutte le contraddizioni che la Distopia continua a segnalare. Ma senza questa risposta resta solo una simpatica illusione buonista, non dissimile da una forma di Fantasy alla quale nessuno chiederebbe mai un vincolo di verosimiglianza.
Certo non si può negare la possibilità di una letteratura consolatoria, che immagini l’uomo nuovo e il mondo nuovo dove il Bene sia finalmente realizzato, ma credo che prima di arrivarci dobbiamo fare ancora un lungo cammino e interrogare senza risparmio questo presente che ci circonda, per comprendere come esso si potrà svolgere e dove porterà.
Solo dopo, dopo aver visto lucidamente la realtà distopica dell’ingiustizia, della sofferenza, della distruzione della bellezza, dei conflitti tra ricchi e poveri, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, della violazione dell’ambiente e del vivente, e aver compreso le ragioni di tutto questo potremo allegramente predisporci al Bene.

Stefano Zampieri

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