Recensione: “Atlante delle ceneri” di Blake Butler.

Trama

Il mondo è stato colpito da una serie di piaghe e ora le case sono sommerse nel fango, dal cielo piovono vetro e inchiostro, le persone scompaiono nel nulla e le città si sono ridotte a reperti urbani di una società che non esiste più. Alcuni superstiti calcano ancora le strade rovinate, ripercorrendo all’indietro i passi della loro vita passata, accarezzando le fotografie di coloro che hanno perduto e cercando un barlume di luce e una promessa di futuro nella nebbia di un oscuro presente. Questo romanzo a racconti, attraverso uno stile di scrittura che mescola un linguaggio poetico ed evocativo con stili narrativi differenti, racconta il sentimento della perdita, la voglia di evadere e la disperata necessità di speranza e fertilità in un mondo arido e tetro in cui è rimasto poco a cui aggrapparsi.

Recensione

Blake Butler consegna al lettore un’antologia di racconti apparentemente indipendenti, ma interconnessi da un forte senso del perturbante e una solitudine di fondo, ma anche dall’associazione di alcune immagini che si ripetono come, ad esempio, bambini dall’aria non proprio innocente e un considerevole numero di spore.
Per ognuna di queste storie riserva delle sorprese soprattutto nella forma, anzi proprio lì sta l’originalità del libro.
Una scrittura fortemente sensoriale che si veste di prosa poetica, riporta storie molto crude, grottesche e tremendamente realistiche, a tratti, stomachevoli, tuttavia non noterete mai un coinvolgimento da parte dell’autore. C’è un approccio disincantato e distaccato, nel narrare di certi orrori… che quasi restano avvolti da una patina “asettica”.
L’edizione cartacea, per la quale ringrazio Pidgin Edizioni per la copia omaggio, presenta una peculiarità davvero speciale; “Atlante delle ceneri” è il titolo e le pagine, pertanto, presentano i bordi anneriti -quasi fossero state bruciacchiate – e il colore interno è sui toni del grigio, inoltre, in base al titolo del suddetto racconto la filigrana della pagina è perfettamente in tema.

Aveva sempre detto che qualcosa stava per arrivare. Aveva sempre detto che il mondo non ne aveva idea.

Un viaggio lucido e, al contempo, surreale … Ci si trova giocoforza avviluppati da un’atmosfera di devastazione, con virate fortemente weird. Penso che l’autore abbia colto a piene mani da uno scrittore che stimo molto: Thomas Ligotti.
Una prosa bruciante e camaleontica, talvolta frammentata – data la diversa lunghezza delle composizioni – dimostrando un’affinità non scontata con lo strumento narrativo rappresentato dal racconto breve.
Una realtà riconoscibile solo scostando il velo deformante di un’ostilità crescente verso un mondo allucinato: città senza tempo e senza nome, giorni vuoti, una piccola folla di personaggi infelici che vagano su una terra morente, ormai privi di ogni speranza. Un mondo dove – di tua spontanea volontà – non vorresti mai metter piede.
Girata l’ultima pagina resta al lettore una sensazione strana, sporca, come se gli fosse rimasto addosso qualcosa che non gli appartiene.

Elisa R

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