Recensione: “Febbre da fieno” di S. Lem.

In Febbre da fieno (1975) Lem supera con un balzo le distinzioni rigide tra i generi. Il romanzo riproposto oggi da Voland con una bella traduzione di Lorenzo Pompeo, infatti, è allo stesso tempo un giallo classico, perché c’è un cospicua serie di morti inspiegabili e la ricerca di un assassino, ma sembra anche una distopia almeno nel clima inquietante che caratterizza ogni ambiente, e un testo di riflessione.

TRAMA:


Il protagonista è un astronauta a fine carriera, per altro affetto da una fastidiosa allergia, appunto la febbre da fieno. C’è chiaramente dell’ironia in questa scelta, come a voler mostrare un ingrediente tipico della fantascienza fuori contesto.
E’ coinvolto in un esperimento che appare fin da subito abbastanza strano, deve ripercorrere puntualmente alcune vicende di vita di una delle vittime per cercare di comprendere come l’introvabile assassino possa aver agito. Tutto accade tra Napoli e Roma nella prima parte, e poi a Parigi nella seconda.
L’astronauta effettivamente riesce a ricostruire tutti gli spostamenti e le attività del suo alter ego, e costruisce mentalmente l’insieme delle ricorrenze che caratterizzano tutte le vittime, essere maschi stranieri a Napoli, soffrire di allergia, fare bagni termali, ecc. Vien da pensare che vi sia un serial killer che si diverte ad avvelenare le proprie vittime molto lentamente fino a portarle alla morte o al suicidio. Ma la ricerca non porta all’identificazione di alcun sospetto. A Parigi il protagonista viene associato a una intera squadra di scienziati e ricercatori supportati da un potente computer.
Solo nel momento in cui egli stesso si trova a vivere le stesse sensazioni, lo stesso “avvelenamento” delle vittime, salvandosi però in extremis, solo allora emerge il vero omicida. Che non è un essere umano ma è propriamente il Caso. Tutte le vittime infatti sono state uccise da un insieme di circostanze che si sono inevitabilmente realizzate secondo la legge statistica dei grandi numeri.

RECENSIONE:


Le riflessioni di natura logica, e le considerazioni intorno al Caso e al Destino rappresentano alcune delle pagine più belle scritte da Lem che notoriamente ha una spiccata vocazione filosofica personale.


Lem è un fenomeno letterario che solo oggi ottiene tutto il riconoscimento cui ha diritto, nemmeno la realizzazione cinematografica del suo capolavoro Solaris, infatti è riuscito a strapparlo dall’ombra, probabilmente a causa del fatto di essere polacco, in un ambiente quello della fantascienza, che è stato per molti anni terreno esclusivo degli scrittori di lingua inglese.


Ma nelle sue pagine dimostra una straordinaria capacità di mescolare in perfetta sinergia gli sviluppi narrativi, gli intrecci con l’analisi e una riflessione che pone questioni di ampia rilevanza senza la pretesa di risolverle, ma costringendo il lettore ad un lavoro di riflessione personale. Non si esce da questo libro senza porsi una questione capitale: qual è il ruolo della casualità nelle vicende umane? E’ una domanda antica e per niente banale che merita ancora di essere posta.

viviamo in un mondo di addensamenti casuali, in un gas molecolare umano, caotico, nel quale gli eventi “inverosimili” sbalordiscono solo i singoli atomi, le individualità. E’ un mondo in cui l’eccezione di ieri diventa la banalità di oggi e l’estremo di oggi la norma di domani.



STEFANO ZAMPIERI

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