Recensione Cronache del dopobomba

Che cosa accade dopo la fine del mondo? Cosa avviene quando la Bomba – quella di cui tutti parlavano dal 1945 – viene finalmente lanciata? Apparso nel 1963, “Cronache del dopobomba” narra il mondo dopo il lancio dell’ordigno che ha messo in ginocchio l’umanità, cancellando dalla faccia della terra città ed esseri viventi. I sopravvissuti non sono più uguali a prima, ma rappresentano l’embrione di una stirpe che ha innestato sulle malinconie di una civiltà al crepuscolo il vitalismo confuso di una razza agli albori. L’intero pianeta viene rappresentato da una piccola comunità californiana, in cui i superstiti vivono aggrappati alle onde radio che provengono dallo spazio. Il loro profeta è Walt Dangerfield, l’astronauta rimasto bloccato in orbita prima della catastrofe atomica, e che dal cielo trasmette alla Terra nastri musicali e pedagogica

Recensione Cronache del Dopobomba

Considerato dalla critica uno dei romanzi più riusciti di Dick, “Cronache del dopobomba” (1965) certamente rappresenta uno dei vertici della sua capacità di mescolare e ibridare generi e modelli, senza farsi mai ingabbiare dalle formule classiche della Fantascienza, né da quelle del Fantasy o del racconto fantastico o di magia. Dick si trova sempre un passo oltre, un passo al di là, o al di qua, di ogni genere.


Il motivo ispiratore del romanzo è l’angosciante senso di catastrofe ispirato dal pericolo atomico, percepito in quegli anni come costantemente imminente e reale.
L’inizio infatti racconta proprio l’evento dell’apocalissi atomica che mette in ginocchio l’intera civiltà americana e la costringe a una lenta e faticosa ripresa. I sopravvissuti uomini e animali subiscono mutazioni imprevedibili. Compaiono, uno dopo l’altro personaggi bizzarri e inquietanti: topi che suonano il flauto con il naso e che sanno tenere la contabilità di un’azienda, cani che parlano, anche se restano piuttosto ingenui e sempliciotti; e poi c’è Hoppy un giovane focomelico privo di braccia e di gambe ma dotato di poteri straordinari, assassino quando serve, imitatore di ogni voce, intrattenitore; e una bambina che porta dentro di sé un fratellino mai nato, Bill, con il quale intrattiene lunghe conversazioni e che a sua volta è dotato del potere di sentire la voce dei morti, ma anche di quello di trasferirsi in altri corpi; e ancora c’è un uomo di colore, venditore di trappole intelligenti per animali selvatici.

Su tutti domina la figura di Walt Dangerfield, un astronauta rimasto bloccato nella sua capsula dall’evento nucleare, impossibilitato a tornare e costretto a ruotare all’infinito intorno al pianeta. La sua compagna non ha resistito e si è data la morte, lui continua a girare, pur ormai molto provato fisicamente, trasmettendo al pianeta musica classica e qualche amara considerazione personale, come una specie di Dj cosmico. E ancora c’è l’ironica macchietta dello psicanalista Stockstill che cerca di curare a distanza il povero astronauta con le libere associazioni. C’è soprattutto Blutgeld, lo scienziato pazzo che si ritiene responsabile dell’olocausto nucleare e nella sua completa paranoia sembra volerlo replicare. E poi una pletora di altri personaggi che esiteremmo a definire “normali” visto che l’intera narrazione sembra essere segnata da quella sensazione “perturbante” che Freud ci ha insegnato a leggere come un l’ombra inquietante della normalità.


L’ambiente è quello post apocalittico. Una società che finge una impossibile quotidianità, dove il denaro ha lasciato il posto al baratto, le auto si muovono trainate da cavalli, e gli esseri umani sopravvivono in piccoli gruppi stretti attorno alle loro poche cose, ai loro riti di sopravvivenza, apparentemente senza un potere centrale, senza una precisa articolazione della giustizia e della vita pubblica.
In un certo senso sembra proprio la normalità ciò che tutti cercano, dalla prima scena che fissa il momento che precede l’esplosione, all’ultima, nella quale i personaggi positivi della storia cercano di ritrovare un modus vivendi pacificato.
Magmatico, imprevedibile, fuori scala rispetto a ogni aspettativa, il romanzo di Dick spiazza continuamente il lettore. Mai prevedibile, mai scontato, non c’è una trama riassumibile in modo piano, c’è una continua narrazione di fatti, personaggi, dialoghi, che costringe il lettore a entrare in un mondo, a osservarlo, stupito e talvolta infastidito dalla inconciliabile dissonanza della realtà.

STEFANO ZAMPIERI

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