Recensione: Costellazioni familiari di Ana Llurba

TRAMA

Ana Llurba rappresenta situazioni comuni e quotidiane: l’amicizia, l’esplorazione della sessualità, l’adolescenza e la vita adulta, la maternità e le crisi matrimoniali, i legami affettivi e i contesti lavorativi. Allo stesso tempo ogni narrazione esce dall’ordinario per immergersi in dimensioni altre. I suoi personaggi si confrontano con l’ancestrale e il simbolico, tra riti individuali e collettivi, in una molteplicità di immaginari in cui esseri mitologici e non umani si mischiano a noi in realtà sfumate, insondabili. Il motore di queste storie è sempre il desiderio, il fallimento e la necessità di una qualche forma di redenzione.
Nel lavoro di Ana Llurba weird e femminismo speculativo si fondono in sfaccettate e conturbanti istantanee di una quotidianità distorta, per sondare le possibilità della paura e dell’ignoto, verso i territori più instabili della nostra mente, ma con la giusta dose di ironia e humor nero, in una coralità di voci che suonano al contempo sconosciute e familiari.

RECENSIONE

La prostituta trans Gladelì partecipa al festino sbagliato per poi riprendere conoscenza, gonfia di botte, vicino a quello che ha tutta l’aria di essere lo Stige, il fiume infernale dove, secondo gli antichi, venivano traghettati i morti nell’aldilà. Le tre vivacissime bambine a cui la giovane Marìa Teresa fa da babysitter sembrano ogni giorno più simili alle Vergini Nere invocate dai riti Vudù per chiedere vendetta. Strane luci e rumori notturni attirano una giovane coppia di neo-genitori in piena crisi coniugale verso un misterioso rituale pagano…

Sono rimasta sorpresa e affascinata dai racconti di Ana Llurba della silloge Costellazioni familiari pubblicata da Eris Edizioni nella traduzione di Francesca Bianchi e con i disegni di Darkam. La dimensione del quotidiano domina tutte le storie della raccolta. I personaggi sono persone qualunque, semplici, spesso un po’ ai margini della società: adolescenti problematici, domestiche, giovani seminaristi gay. Eppure, tra le pieghe del reale si insinua sempre, sottile, una punta weird, un qualcosa di completamente diverso che mette in discussione e capovolge la realtà ordinaria. Ogni racconto cela una sorpresa, un fatto imprevisto, un rituale arcaico che spariglia le carte del già noto per immergerci in qualcosa di incomprensibile e inaspettato. Il tutto arricchito da molti elementi del folklore latino-americano tra loa del Vudù, vergini nere, divinità delle religioni sincretistiche afroamericane.

Si aggirano smarrite per le fattorie

vestite di organza e ghirlande di fiori di carta

come bambole antiche

Kinkamanché, Ochosi e Baba Latye

portano il sapore metallico del sangue

il ritmo delle campane della messa

la cavalcata delle streghe.

Le vergini nere di Ana Llurba

Sono storie che si muovono a passo di danza sul confine labile che separa l’ordinario dallo straordinario, senza mai sprofondare completamente nel fantastico né finire per ricondurre gli accadimenti a una spiegazione razionale e univoca. Nella maggior parte dei casi rimane il dubbio: cosa sarà vero e cosa accade solo nella mente dei protagonisti? Immaginato o reale che sia, l’elemento inquietante che turba il corso normale degli eventi diventa un veicolo di liberazione, il sovvertimento di dinamiche tossiche o sessiste, oppure uno strumento di vendetta degli ultimi, la speranza in un altro mondo possibile.

Consiglio vivamente il racconto La cosa più simile alla felicità dove la voce narrante è il registratore di cassa di un supermercato durante una terribile pandemia che obbliga l’umanità a un sempre più stringente lockdown (vi ricorda qualcosa?). E Il sorriso nel quale la giornata qualunque di una impiegata qualunque si trasforma in un incubo a causa dell’eccesso di attenzioni gentili che tutti iniziano improvvisamente a dedicarle. Unico rimpianto al termine della lettura: non aver ancora letto l’unica altra opera di Ana Llurba finora pubblicata in Italia, La porta del cielo (recensita qui da Elisa).

Ki Ba

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