Recensione Cyberpunk Edgerunners

Cyberpunk Edgerunners, signori! Una perla basata su Cyberpunk 2077 della CD Project e dello studio Trigger, che ha sformato Kill la Kill e Gurenn Lagann mica pizza e fichi!
Disponibile su Netflix è una serie da 10 episodi, ma è anche la prova che da un videogioco può nascere una piccola opera se la trama è fatta bene.

Allora, mettiamoci comodi perché le cose da dire sono tante e cercherò di non essere logorroica

“Un giorno o l’altro ti porterò sulla luna, vedrai!”

David – Episodio 4, Lucky you

Trama

Un ragazzo di strada cerca di sopravvivere in una città del futuro ossessionata dalla tecnologia e dalla modifica del corpo. Con tutto da perdere, sceglie di rimanere in vita diventando un edgerunner: un mercenario, noto anche come cyberpunk.

La trama è semplice. La narrazione è serrata, talmente veloce da farti girare la testa. Una montagna russa di avvenimenti serrati che di tanto in tanto lasciano spazio a qualche scena per prendere fiato, ma è come affrontare la salita di una montagna russa: sale piano e poi ti fa precipitare in un caleidoscopio di scene al limite della psichedelia che ti fanno ubriacare a innamorare dell’opera.


Le animazioni sono magnifiche, dopotutto è di Trigger che stiamo parlando: colori saturati e brillanti, molto splatter e disegni dai tratti “seghettati” che si sposano perfettamente con il mondo Cyberpunk. Per non parlare delle scene disturbanti visivamente per via della moltitudine di dettagli: un’animazione “sbagliata” che viene usata magistralmente per riprodurre i glitch ormai piantati nel cervello dei personaggi.

Ogni cosa è fatta con attenzione: le telefonate fra i personaggi si possono vedere su schermo e lo slang utilizzato pieno di abbreviazioni e modi di dire lascia intendere che ognuno di loro ha il suo modo di esprimersi, i luoghi in cui vivono e come si approcciano ai vari lavori la dice lunga sul loro modo di ragionare.

Il doppiaggio italiano è orecchiabile. Se devo proprio trovarci un difetto in alcune scene ho trovato la colonna di fondo troppo alta rispetto alla voce dei doppiatori, che spesso veniva coperta.

Un mondo privato dell’emotività e David

Ci troviamo a Night City, una realtà dove le persone di umano ormai hanno poco e nulla, anzi l’essere fatto di sostanze organiche viene visto come un ostacolo, e cercano di impiantarsi più modifiche possibile fino a che non raggiungono la Cyberpsicosi: una malattia causata dal cromo presente negli impianti e che fa perdere ogni controllo. Già nei primi minuti del primo episodio abbiamo una prova di quanto possa essere pericolosa: un soldato fa fuori delle persone con una facilità assurda grazie all’impianto che ha installato sulla schiena.
Tuttavia non è l’unica cosa di cui preoccuparsi. La città è in mano alle corporazioni e la distribuzione della ricchezza crea un divario fra loro e tutto il resto della popolazione. David e sua madre vivono in uno stato di povertà, sebbene riescano a permettersi una casa e il necessario per vivere una vita dignitosa. Questo perché, nonostante sua madre Gloria abbia un lavoro, la maggior parte dei soldi vanno all’istruzione di David e all’accademia prestigiosa che frequenta, affinché lui possa avere un brillante futuro e raggiungere le vette della società come desidera la madre.
D’altra parte David è uno studente modello ma problematico perché non appartiene a quel mondo e la gente tiene a farglielo ricordare anche senza mezze misure: i suoi compagni lo perseguitano e il sistema sanitario della città non alza un dito su chi non ha l’assicurazione.
È un mondo talmente alieno all’empatia da essere incapace di provare tristezza o porgere le condoglianze a qualcuno quando subisce una perdita. Senza contare che la morte passa in sordina se non sei qualcuno di importante.

Durante la narrazione capisci la rabbia di David, il suo bisogno di trovare un posto nel mondo e la sua identità cercando di preservare la moralità che sua madre gli ha tramesso.
In quella gabbia di luce dorata che è la città, nonostante gli si venga detto di non fidarsi di nessuno, David prende a cuore le persone che lo circondano e si fa carico dei loro sogni perché lui non ne ha mai avuto uno.

Build Different

David è speciale.
Non solo perché inizialmente non c’entra nulla con il mondo dei cyberpunk né con quello delle corporazioni, ma anche per via della sua resistenza fisica a qualcosa che non era destinato a lui e per il suo carattere.

Cresciuto in un mondo privo di morale e in cerca di stimoli, in termini sia di adrenalina che di sesso, come un drogato in astinenza. David si trascina gli insegnamenti della madre anche quando entra nella crew di schizzati capitanata da Maine. Per lui non è normale portarsi a letto Lucy, colei che lo ha introdotto a questo mondo quando non gli era rimasto più nulla, o vantarsene né allungare le mani sulle ragazze o prendersi gli impianti di un collega che ha fatto una brutta fine solo perché potrebbe trarne vantaggio.
È una persona che si preoccupa per gli altri e porta avanti i loro sogni, gettandosi a capofitto in una situazione critica solo per salvarsi e portando gli strascichi della colpa in caso della loro morte.

Una testa calda che spesso si rivela un kamikaze però non potrebbe sopravvivere da solo e Lucy è il supporto perfetto per un personaggio come David. Una personalità marcia ma pacata che tira fuori il protagonista dai guai in cui si potrebbe cacciare. Se David è il giorno, esplosivo e accecante nel suo essere esagerato, Lucy è la notte con il contrasto fra nero e bianco dei suoi colori e la pacatezza che caratterizza le sue scene. Una squadra composta da due persone impegnate a coprire le spalle e salvare l’altro che non si rendono conto di quanto stanno sacrificando sé stessi.

Una coppia in cui non c’è spazio per altri e Rebecca, una della crew, se ne rende subito conto. David e Lucy sono diversi da tutto il resto del mondo per ciò in cui credono e per il sogno a cui sono aggrappati. Lo stesso per entrambi: andare sulla luna, così diversa dalla caotica Night City.

La Cyberpsicosi e tutto ciò che lascia

Nella corsa al migliorare sé stessi tramite impianti e modifiche, molti dimenticano che l’essere umano ha un limite. La Cyberpsicosi è come la morte: è lì per ricordare che nessuno è una divinità o immune alle conseguenze di ciò che si fa.
All’inizio viene presentata come una malattia che non tutti possono avere, chi l’ha contratta sono personaggi che si vedono per poco finché, verso metà della serie, non ci rendiamo conto che tutti possono contrarla, anche le parsone a cui ci siamo affezionate.
Il cervello inizia a giocare brutti scherzi, il corpo non regge il cromo e inizia a tremare cercando disperatamente gli immunosoppressori che dovrebbero fungere da antidolorifico. Tuttavia nessuno accetta di diminuire le dosi di cromo per cercare di sfuggire alla malattia.
In un mondo dove il progresso è continuo, fermarsi o rallentare è inconcepibile.
Per questo la Cyberpsicosi è il punto di non ritorno. La morte che avvisa del suo imminente arrivo e quella di alcuni non è nemmeno così memorabile o epica, ma ti lascia l’amaro in bocca e un nodo alla gola.
Ricordi e vita reale si mescolano, a tal punto che è impossibile per chi ne è affetto discernere e distinguere le due cose. Piano piano ti alieni dal resto del mondo, cercando di aggrapparti a quella poca sanità mentale che ti resta e che vedi scivolare via. È come guardare la clessidra della tua vita scorrere troppo velocemente e il tempo per accettarne la fine è sempre poco.

Le Somme

È una serie che si fa guardare, io l’ho divorata in due sere e spero vivamente in una seconda stagione.
L’ho amata dall’inizio alla fine, notando che lo studio Trigger ormai ha abbracciato alcune tecniche di narrazione che sono diventate la loro politica, come il fatidico Episodio 6 (chi ha visto Gurenn Lagann sa di che parlo) e il finale.
Quello non voglio spoilerarlo, ma l’ho trovato bello nel suo essere crudo e poetico al tempo stesso.
Un finale giusto e personalmente bello per me che, dopo aver visto i sogni di molti fallire, vede realizzato l’ultimo rimasto.

Zanna

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