Il cinema di fantascienza italiano degli anni dieci e venti

Il cinema di fantascienza italiano ha vissuto in passato momenti di grande splendore, ma è altrettanto indubbio che nelle storia più recente non sono poi molte le opere di rilievo dedicate al genere. E questo malgrado invece nel resto del mondo, non solo i grandi block-buster di Hollywood continuano a fare record di incassi, ma anche paesi che non avevano una grande tradizione sono riusciti a ritagliarsi una parte interessante (dalla Norvegia alla Russia, fino alla Corea del Sud). Cosa propone invece la produzione italiana?

Le produzioni italiane degli anni dieci

Per quanto negli anni duemila ci siano stati tentativi importanti, il “dopo-Nirvana” del cinema italiano di fantascienza non è stato molto entusiasmante.

Ci avevano provato i Manetti Bros con “L’arrivo di Wang” e poi ancora Salvadore con “Il ragazzo invisibile”, ma pur con tutte le buone intenzioni, nessuno dei due aveva davvero convinto.

Un primo spiraglio di luce arriva invece da Gabriele Mainetti, che nel 2016 decide di dare uno sguardo nuovo al mondo dei super-eroi in salsa italiana. Il suo “Lo chiamavano Jeeg Robot” non è scevro di difetti, ma se non altro riesce ad allargare la platea di pubblico interessato e prova a proporre qualcosa di nuovo anche per la fantascienza nostrana.

Una scossa che solo parzialmente ha ridato vita al movimento, che prova però anche strade alternative come quella di “The End” (un horror con zombie di Daniele Misischia del 2017) o quella di “Monolith” di Daniele Silvestrini, che porta la sua produzione oltre oceano per un thriller fantascientifico con Katrina Bowden protagonista (quasi unica).

Un anno dopo è nelle sale esce “The Ride“, di Jacopo Rondinelli, che per la prima volta riesce a girare una pellicola praticamente solo con l’uso di GoPro. Ma è soprattutto dal punto di vista di comunicazione che questo film suscita interesse: un comparto di merchandising ben curato che coinvolge non solo il mondo del cinema ma anche quello sportivo (delle bici nel caso).

Tutti dignitosi tentativi, che però non scaldano certo il cuore degli appassionati (e del botteghino). Nè riesce a farlo “Creators – The Past“, di Piergiuseppe Zaia, che pure coinvolgendo nomi famosi dello schermo del calibro di Gerard Depardieu e niente meno che William “James Kirk” Shatner, regala un risultato piuttosto deludente di quello che si potrebbe fare alle nostre latitudini.

Un (altro) passo indietro quindi, che per fortuna è l’anticamera per qualche segnale di ripresa a partire dagli anni venti di questo duemila.

Gli anni venti: una rinascita è possibile?

A ridare qualche speranza al cinema di fantascienza italiano è, ancora una volta, un Mainetti. Gabriele prende la regia di un film che adatta una visione “fantastica” a un tema che il cinema da queste parti ha toccato più che spesso: la seconda guerra mondiale e la dominazione nazista.

Freaks Out” però non è un film storico, anzi. La sua qualità è soprattutto visiva, e in questo si sente molto la mano di Mainetti, che offre finalmente uno spettacolo degno di tale nome in questo ambito. Certo si potrebbero trovare diversi difetti anche in questo caso, ma è forse conveniente prendere più che altro i lati positivi, perchè sono quelli da cui partire per vedere una piccola evoluzione da lì a venire.

Nello stesso anno infatti un altro regista, Claudio Cupellini, prende lo spunto da un fumetto italiano (di Gipi) per mettere in scena l’apocalittico “La terra dei figli“.
Approccio totalmente diverso, più cupo e drammatico, ma altrettanto valido (e meno “territoriale”, anche dal punto di vista del parlato, con la presenza di attori a tutto tondo come Valeria Golino, Valerio Mastandrea e Paolo Pierobon).

Le ultime uscite

Che si possa in qualche modo parlare di “nuovo cinema di fantascienza italiano” è confermato poi da qualche produzione dell’ultimo anno, che ha spostato ancora più in là il limite di argomenti trattati.

Lo dimostra per esempio “Siccità” di Paolo Virzì, che si cala nella grave crisi climatica di una Roma senza ormai un goccio d’acqua, mostrando un lato ancora diverso delle infinite possibilità di produzione, anche se forse ricalcando alcuni clichè già visti e rivisti in passato (e che sembrano fare parte ormai del bagaglio del nostro cinema, nel bene e nel male).

Un film con un cast che mette in mostra un bel panorama degli attori italiani (da Silvio Orlando a Max Tortora, passando per Claudia Pandolfi o la divina Monica Bellucci), ma si arrotola un po’ su se stesso dal punto di vista della trama (e di quell’eterna esigenza dialettale).

Si arriva così al più recente “Ipersonnia“, che salta la distribuzione al cinema per sbarcare direttamente su Amazon Prime, trainato da un Stefano Accorsi che (quasi da solo) tiene in piedi un film ricco di idee interessanti.

Per la prima volta probabilmente abbiamo una sceneggiatura originale da portare avanti, un’idea appunto, che spesso era mancata. C’è un tentativo di proporre qualcosa di nuovo (anche se l’idea del sonno per i detenuti non è poi così originale), e soprattutto di proporlo in un modo diverso dal solito, sia come stile che come regia.

Il risultato non è sempre perfetto, ma è sicuramente un (altro) check-point da cui (ri)partire. Sperando che non si facciano più passi indietro (e basta guardarsi un po’ in giro per capire che il grande salto, è possibile anche senza budget stratosferici).

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