Recensione QUINZINZINZILI di Régis Messac

Edizioni Tlon porta in Italia, per la prima volta, un romanzo scritto negli anni Trenta del Novecento e che meritava di essere scoperto prima. Un post-apocalittico cinico, deprimente e al contempo ironico. Un dissennato racconto della fine del mondo e della sua rinascita.

TRAMA

La penna profetica di Régis Messac immagina, in anticipo sui tempi, il secondo conflitto mondiale, che tuttavia dura ben poco. L’esplosione di un’arma chimica rende l’aria irrespirabile, deformando i muscoli facciali di tutti gli abitanti del pianeta. Il genere umano si estingue sghignazzando. In una grotta sopravvivono un gruppo di bambini e un unico adulto che, scrivendo il suo memoriale allucinato, testimonia l’ascesa di una nuova umanità. I giovani superstiti plasmano un nuovo linguaggio, reinventano la guerra, la geometria, l’amore, e sono devoti a un dio infantile, che nel loro strano idioma chiamano Quinzinzinzili. Scritto negli anni Trenta del Novecento e pubblicato oggi per la prima volta in Italia, “Quinzinzinzili” è una gemma letteraria ingiustamente dimenticata, un romanzo postapocalittico che sorprende per la sua geniale ironia e per il suo pessimismo visionario.

RECENSIONE QUINZINZINZILI

La storia inizia con un preludio, al limite della follia, di un uomo. Il narratore della fine e dell’inizio. Ultimo essere umano capace di scrivere, e forse uno dei pochi sopravvissuti al disastro.

La Seconda Guerra Mondiale si è conclusa in una risata. Un ultimo ghigno dell’umanità sterminata dall’arma chimica inventata dai giapponesi, una letale combinazione di ossigeno e azoto che in poco tempo ha avvolto il pianeta sterminando ogni forma di vita in superfice.

Un’ecatombe che lascia come unici superstiti un gruppo di ragazzini e un’uomo, troppo impegnato ad attendere la morte e a punirsi per essere sopravvissuto per ergersi a tutore e insegnate dei più giovani. Mosso solo dagli istinti primari, il narratore osserva con cinismo ciò che resta dell’umanità. La guarda crescere, documenta gioie e dolori degli ultimi superstiti.

Con fredda determinazione annota ogni loro errore e ogni passo evolutivo compiuto dal genere umano durante i millenni. Dall’angolo della caverna in cui è rintanato annota la nascita di un nuovo linguaggio, la folle devozione a un nuovo dio infantile chiamato Quinzinzinzili e le eterne lotte di potere.

Régis Messac ha immaginato una nascita del genere umano attraverso la distruzione.

La sua visione del futuro, per quanto influenzata dagli orrori delle armi chimiche della Prima Guerra Mondiale, non è molto differente da ciò che una decina di anni dopo sarebbe accaduto realmente. Nonostante il testo sia stato pubblicato per la prima volta nel 1934, l’asset politico e le forze in gioco nella distruzione del mondo sono le stesse che hanno rischiato di farlo durante la Seconda Guerra Mondiale.

L’autore descrive un’umanità cieca, affamata di potere e disposta a tutto pur di ottenerlo. Ci mostra esseri umani piccoli, ignavi, che ripercorrono ossessivamente gli errori del passato. Messac, in ogni passaggio del testo, traccia un profondo solco sull’arroganza umana e sui presupposti che l’hanno condotta all’estinzione.

Messac si immagina un ultimo uomo diverso da quello di Mary Shelly. Lo priva del rimpianto di ciò che ha perso, lo purifica dall’arroganza di sentirsi padrone del mondo. Lo umanizza con una follia consapevole, lo priva del potere del sapere e ne delinea la personalità attraverso il suo ruolo di spettatore.

Nonostante i suoi anni, che a sprazzi emergono dal narrato, Quinzinzinzili è un testo che consiglio di leggere. E’ un elogio alla vita attraverso la follia, è una critica alla nostra storia e alla pochezza delle nostre certezze.

E se vi piace l’idea dell’ultimo uomo, non posso esimermi dal riproporvi uno dei miei libri preferiti “Io sono leggenda” di Richard Matheson.

A presto.

Delos

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