New York, Jakarta e Città del Messico: le metropoli che stanno sprofondando

762 milioni di tonnellate di cemento e altri materiali più 8,5 milioni di abitanti fanno sprofondare New York al ritmo di quasi due millimetri all’anno.

E non è niente in confronto a Jakarta che si abbassa tra 2 cm e 5 cm all’anno, e soprattutto rispetto a Città del Messico che affonda 50 cm all’anno!

Le cause

Di certo la maggior parte della responsabilità è, neanche a dirlo, dell’uomo.

La subsidenza

La subsidenza non è altro che l’abbassamento di certe zone dovuto alla compattazione dei materiali. Naturalmente questo avviene quando i sedimenti sono molto porosi e tendono a comprimersi, riducendosi di volume e quindi abbassarsi se hanno sopra un carico.

Ma la subsidenza può essere indotta estraendo acqua, petrolio o gas dal terreno diminuendo la pressione dei fluidi interstiziali residui e provocando un assestamento del terreno.

È facile intuire che più forte è il grado di urbanizzazione di certe zone più gli effetti della subsidenza vengono amplificati: più edifici, più persone, più necessità di sfruttare le falde acquifere.

A New York, su una superficie di 777 km quadrati, gravano 762 milioni di tonnellate di cemento, vetro e acciaio, di soli edifici (i dati provengono da uno studio realizzato da United States Geological Survey (USGS), rilanciato dalla Bbc). Sommate infissi, accessori e mobili, infrastrutture di trasporto e 8,5 milioni di persone che abitano la metropoli…

Pensate che nel 2020 la massa di oggetti fabbricati dall’uomo ha superato quella costituita da tutta la biomassa vivente (questo su scala mondiale).

Ah, non dimenticate l’innalzamento del livello del mare (dovuto al progressivo scioglimento dei ghiacci, dovuto all’innalzamento della temperatura, dovuto indovinate un po’ a causa di cosa e chi?) e immaginate lo scenario apocalittico soprattutto per le città costiere…

La situazione di Jakarta, abitata da 10 milioni di persone, congestionata dal traffico, inquinatissima, senza parchi o spazi culturali, disastrata da frequenti alluvioni e che sprofonda di cinque centimetri all’anno, ha addirittura indotto il governo dell’Indonesia a costruire una nuova capitale a quasi duemila chilometri di distanza.

Una delle ultime alluvioni che ha colpito Jakarta

La nuova capitale si chiamerà Nusantara e dovrebbe essere inaugurata il prossimo 17 agosto, ma si finirà di costruirla verosimilmente nel 2045.

Il progetto di Nusantara

Peccato che per costruire la nuova capitale siano stati inizialmente impegnati circa 56mila ettari sull’isola del Borneo dove esiste (o meglio: “cerca di resistere”) una delle foreste pluviali più antiche del mondo già da tempo danneggiata da operazioni di deforestazione, dovute soprattutto alla creazione di piantagioni per l’olio di palma, con gravi conseguenze sull’ambiente e la biodiversità.

Le città più a rischio

Il litorale sud est asiatico è sicuramente quello più a rischio: Manila (Filippine), Chittagong (Bangladesh), Karachi (Pakistan) e Tianjin (Cina), Semarang (ancora in Indonesia).

Ma anche una grande area nel nord di Tampa Bay, in Florida, si sta abbassando di 6 mm ogni anno.

E poi c’è Città del Messico…

Città del Messico si trova a un’altitudine di oltre 2200 metri sul livello del mare: un’area metropolitana con oltre venti milioni di abitanti. Sorge nella conca del lago Texcoco, ormai completamente prosciugato.

Ed è proprio l’attività di drenaggio dell’acqua dell’antico lago Texcoco che ha dato origine a un processo di subsidenza che, da oltre cinquant’anni, sta facendo affondare la città nel terreno sottostante.

A una velocità che, negli ultimi anni si è assestata sui 50 cm all’anno. Il tutto è amplificato da un tessuto urbano antico e che si è stratificato secolo dopo secolo senza seguire adeguati piani di sviluppo, dal peso delle strutture e delle persone e dal continuo e crescente sfruttamento delle falde acquifere…

Si registrano, all’ordine del giorno, danni all’integrità degli edifici, alla struttura e alla pavimentazione stradale, alle condutture di acqua e gas, alle fognature e, in generale, a tutte le infrastrutture cittadine.

La previsione è che, di questo passo, senza prendere provvedimenti, la città si potrebbe abbassare di oltre 30 metri rispetto al livello della superficie su cui si trova oggi in circa 100 anni.

Ma cosa si può fare?

Ecco un elenco di quali provvedimenti si potrebbe adottare per evitare che le nostre città sprofondino nel nulla.

  1. Smettere di costruire!
  2. Garantire che gli edifici più grandi siano posizionati su una base rocciosa più solida…
  3. Rallentare il prelievo delle acque sotterranee e l’estrazione dalle falde acquifere sotterranee.
  4. L’eliminazione dei gas serra che impedirebbe o ritarderebbe almeno un po’ lo scioglimento delle calotte polari, rallentando l’innalzamento del livello del mare.

Cosa si sta già facendo?

Sostanzialmente: niente di veramente efficace!

La crescente urbanizzazione aumenta continuamente la quantità di acque sotterranee estratte e si combina con ancora più costruzioni per far fronte alla crescente popolazione.

Le città costiere stanno “prevedendo” piani spesso disordinati e imperfetti di costruzione e manutenzione, puntando ad esempio sulla costruzione di dighe marittime per contrastare le inondazioni, stazioni di pompaggio e paratoie, unita a misure sociali come prove di evacuazione e sistema di allerta precoce.

Fanno di più e meglio le persone comuni: già nel 2021 una ricerca ha documentato che i residenti di Jakarta, Manila e Ho Chi Minh City hanno sollevato i pavimenti in casa, spostato gli elettrodomestici e costruito ponti improvvisati tra le case in zone paludose. Poi sono stati costruiti serbatoi di attenuazione che si trovano sottoterra e rilasciano l’acqua piovana a una velocità controllata e lenta.

Steven D’Hondt, professore di oceanografia all’Università del Rhode Island a Narragansett, tra i principali studiosi del fenomeno della subsidenza, ha dichiarato: “Penso che i governi debbano essere preoccupati. Se non vogliono avere una massiccia perdita di infrastrutture e capacità economica in pochi decenni, devono iniziare a pianificare subito”.

Ecco, forse la “capacità economica” più che la sicurezza delle persone e la salvaguardia del pianeta, potrebbe smuovere qualche coscienza…

Debora Donadel

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