Recensione: Io sono vivo, voi siete morti di E. Carrère

Io sono vivo, voi siete morti è la biografia di Philip Dick scritta dal grande narratore francese Emmanuel Carrère. Uscita originariamente nel 1993 è stata pubblicata da Adelphi nel 2016.
Per chi conosce Philip Dick è certo una delle biografie più belle per stile, per conoscenza delle opere, ma anche per documentazione diretta presso amici, conoscenti, eredi, ex mogli.
La vita di Philip Dick è stata un insieme di assurdità, di follie, di atti imprevedibili che qui vengono accuratamente ripercorsi senza alcuna volontà di giudicare o di trarre conclusioni moralistiche o apologetiche.

RECENSIONE:

Carrère racconta dunque di un Dick dipendente per molti anni da un mix letale di anfetamine e di medicinali che lo ha portato a una condizione di paranoia patologica che ha caratterizzato tutta la sua esistenza ma ha anche ispirato molti tratti dei suoi romanzi. Convinto di essere spiato dall’FBI in primis, Dick ha manifestato fin da giovanissimo un senso di ribellione incontenibile, un desiderio di non essere preda passiva del “Sistema”. Questo lo ha portato a certi atteggiamenti che potremmo definire anarchici e anticapitalisti, almeno fino a una certa fase. Perché poi nel Dick maturo, quello degli anni ’70, subentra una ossessione mistico religiosa che soppianta ogni riflessione di carattere politico. Tuttavia anche il Dick “convertito” non è meno eccentrico e sopra le righe di quello politico.


Carrère racconta benissimo, con uno stile limpido e trascinante, le vicissitudini del Dick intossicato cronico, del Dick in ospedale psichiatrico, del Dick che si sposa cinque volte, del Dick lettore onnivoro. Prima scrittore incompreso e sostanzialmente fallito, poi icona del mondo hippie, nella stagione dell’LSD, e poi quasi schizofrenico alla ricerca di un Dio che ha i tratti di uno dei suoi personaggi, del Dick dell’Esegesi: ottomila pagine di narrazioni, riflessioni, confessioni, accuse, opera conclusiva di una mente ormai giunta allo stremo, presa in un mondo che non è più quello reale senza essere solo quello fantastico.


È proprio questo, forse, il merito maggiore della biografia di Carrère, averci saputo mostrare come i mondi sperimentati nei libri non siano altri da quelli vissuti dallo scrittore Philip Dick. Nelle sue opere e nella sua vita la pluralità delle dimensioni non è altro che un complicato intreccio. Per questo il titolo della biografia di Carrère, tratto da Ubik, romanzo dickiano del 1969, appare assolutamente perfetto. Come ricorderà chi ha letto il libro, quella strana frase svela improvvisamente ai personaggi del romanzo che credono di essersi salvati da una esplosione, la loro vera condizione di corpi morenti conservati in stato criogenico e ricondotti in un mondo puramente virtuale che in realtà è solo frutto delle loro menti. Questa incertezza tra mondi reali e mondi virtuali è anche la cifra della biografia dello scrittore e non solo dei suoi libri. Ed è perfettamente rappresentativa di questa impossibilità di separare il reale e l’immaginario, il vero dal falso, l’uno si nutre dell’altro, l’uno non può esistere senza l’altro.

STEFANO ZAMPIERI

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