Recensione L’utopia dei bastardi di Josè Stancarone

Trama de L’utopia dei bastardi

Il Vecchio Mondo, fondato sul principio del consumo, è ormai decaduto a causa dell’inquinamento e delle guerre, figlie della bramosia degli esseri umani. È toccato ai sopravvissuti, i Fondatori, costruire una nuova civiltà in cui tutto è orientato al bene comune. Nella Repubblica di Concordia ogni persona, fin dalla nascita, fa parte di un progetto più grande che tende alla perfezione. Tutti seguono rigide regole da cui nessuno pensa di potersi discostare. Elliot, originario di Dado, borgo della capitale Biblo, viene adottato da una maestra di strada e la sua malattia infantile lo ha portato a temere il confronto con gli altri. Per questo decide di iscriversi al programma degli Ottimi, in cui pensa di poter eccellere grazie alla sua capacità di pensare fuori dagli schemi. Sarà il suo ingegno ad aiutare gli abitanti di Dado a combattere il Mostro e sovvertire l’ordine delle cose.

Recensione de L’utopia dei bastardi

Il libro ha un’impostazione riflessiva e filosofica che ho apprezzato, e che giustifica la recensione di oggi centrata più sui contenuti che sulle forme. Non accade molto nel romanzo L’utopia dei bastardi di José Stancarone, buona parte del testo è dedicato alla descrizione minuziosa della Repubblica di Concordia, una Repubblica che però sembra piuttosto governata come una monarchia o uno stato totalitario. C’è persino un Gran Consiglio, espressione che ricorda un altro Gran Consiglio dell’epoca del ventennio, un rimando che l’autore lascia in bilico per tutto il romanzo senza mai svilupparlo o approfondirlo. Una scelta che, forse, è voluta, ma che per il mio gusto avrei preferito differente.

La trama principale è facilmente riassumibile. In una società apparentemente perfetta, ogni individualità viene cancellata e solo alcuni individui combattono la tirannia reclamando la propria divergenza.
Una storia abbondantemente nota, che sembra uscire dai romanzi di metà secolo scorso.

Ho controllato e, a meno di una mia svista, il testo è recente. Cosa che mi ha profondamente colpito, non in positivo. La qualità della distopia si misura sulla capacità dell’autore di intravedere nel presente i semi di un futuro nefasto. L’immagine di Concordia, società perfetta ma opprimente perché volta all’annullamento delle diversità individuali poteva avere un senso negli anni trenta del ‘900, quando gli intellettuali occidentali manifestavano le loro preoccupazioni nei confronti della società “collettivista” che metteva in pericolo la loro bella individualità. Purtroppo e per fortuna quella società è morta da un pezzo, il futuro che ci si prospetta davanti non è certo quello descritto dall’autore.

Non si comprende poi perché questa società oppressiva venga descritta utilizzando gli articoli di una immaginaria costituzione che meriterebbero di essere discussi uno per uno. Dal primo La collettività anticipa l’individuo, concetto, come ho già detto, immaginario e anacronistico, combattuto perché fonte di oppressione per gli individui. L’autore, probabilmente per difetto di conoscenza, sembra ignorare che l’uomo deve fare i conti con una condizione che già Aristotele definiva dello zoon politikon: l’uomo è per natura un essere sociale.

Gli altri articoli dell’ipotetica costituzione di Concordia sembrano tratti dalla costituzione di uno stato ideale: ogni cittadino ha diritto a un’istruzione, la Repubblica tutela la salute, la Repubblica tutela la proprietà privata e provvede alla sussistenza dei cittadini, evita la conflittualità e legittima le unioni civili, riconosce uguali diritti ai rifugiati, riconosce l’indipendenza della ricerca scientifica ecc…
Cosa ci sta dicendo l’autore con tutto questo, che le società democratiche saranno anche belle ma vanno superate perché annullano la particolarità dei singoli? Se fosse questo il messaggio sarebbe davvero misero. Probabilmente sono io che non ho colto il significato di un testo che non si propone per intrattenere, ma che punta a trasmettere un messaggio che, per me, è davvero poco chiaro.
Insomma, per me, che ho decenni di letture e di classici nel mio bagaglio di esperienze, in questo testo manca la forza della invenzione, manca quella della parodia o dell’analisi del presente con un occhio al futuro. Se l’autore avesse letto La fattoria degli animali (1945) di Orwell, avrebbe trovato un’altra costituzione ben più incisiva e dirompente di quella che ha tentato di abbozzare nel suo romanzo.
In conclusione, il libro, a mio modesto parere, non è riuscito e, se ne avessi titolo, consiglierei l’autore di interrogarsi un po’ meglio sulla realtà del nostro tempo. Chi vuole cimentarsi in testi come questo dovrebbe cercare di cogliere i motivi profondi della realtà, senza accontentarsi dei luoghi comuni e delle apparenze più superficiali.
A margine una annotazione sulle illustrazioni, che ho apprezzato perché molto ben fatte.

STEFANO ZAMPIERI

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