Recensione di Donne che parlano di Miriam Toews

Donne che parlano, di Miriam Toews, edito da Marocs y Marcos nella traduzione di Maurizia Balmelli, è un pugno nello stomaco. Una distopia reale, che racconta i fatti avvenuti nella colonia mennonita di Manitoba attraverso una narrazione fantastica.

Trama del libro

Le donne della piccola comunità venivano narcotizzate con lo spray alla belladonna per le mucche, e poi stuprate nel sonno. Si svegliavano doloranti, sanguinanti. E si sentivano dire che era tutto frutto della loro sfrenata immaginazione, o del diavolo.

I colpevoli invece erano uomini della comunità: fratelli, zii, cugini o vicini di casa.
Che fare adesso? Perdonare, come vorrebbe il pastore Peters? Rispondere con la violenza alla violenza? O andare via, per sempre?
Il romanzo parte da qui: dal momento in cui le donne devono decidere cosa fare. Sono donne sottomesse, abituate a obbedire. Nascoste in un fienile, prendono in mano, per la prima volta, il proprio destino.
La loro ribellione incandescente risana. È linfa vitale anche per August Epp, l’uomo amorevole e giusto che aveva perso la speranza, e che le donne chiamano a testimone della loro cospirazione di pace, perché possa raccontarla.

Recensione di Donne che parlano

Le donne Molotschna, la colonia immaginaria in cui si svolge la vicenda, si riuniscono per parlare tra di loro mentre gli uomini sono nella città vicina, a pagare la cauzione per liberare dal carcere gli stupratori che per anni hanno assalito le loro mogli e le loro figlie. Le narcotizzavano con lo spray utilizzato per sedare il bestiame e si approfittavano di loro, di donne e bambine, senza badare al dolore o alle ferite con cui si sarebbero svegliate il mattino successivo.

Donne umiliate dalla sottomissione, dall’analfabetismo imposto dagli uomini e dalla mortificazione di una comunità che non crede alle loro storie. Che vuole farle passare per possessioni demoniache o fantasie isteriche.

Consapevoli di ciò che hanno dovuto subire, terrorizzate dall’idea di fuggire e plagiate da Peters, il pastore della colonia, che minaccia di scomunicarle se non perdonano gli uomini, le donne hanno solo pochi gironi per decidere cosa fare.

Le opzioni erano tre.

  1. Non fare niente.
  2. Restare e combattere.
  3. Andarsene.

Ogni opzione era corredata da una figura, perché le donne non sanno leggere .

Nel poco tempo prima del ritorno degli uomini, le donne si riuniscono e discutono cosa fare. Ma non vogliono che le loro parole si perdano nell’aria, che finiscano dimenticate. Per questo chiedono a August Epp, il maestro di scuola della comunità, di redigere un verbale delle riunioni. E non in plautdietsch, l’unica lingua che conoscono e che nessuno parla eccetto gli uomini mennoniti, ma in inglese.

Non tutte le donne donne partecipano alla riunione, la maggior parte si chiude nell’accettazione e preferisce non far nulla. Ma quelle che parlano condividono il ricordo della violenza e al contempo lo raccontano con una naturalezza quasi inquietante. Le donne di Molotschna sono cresciute nella violenza: il finto pacifismo mennonita non impedisce agli uomini di picchiare regolarmente mogli e figlie, e le violenze subite sono solo una parte di ciò che vivono quotidianamente.

Raccontato tramite la trascrittura di Epp, che con fredda determinazione cerca di riportare su carta ogni momento degli incontri, la storia trasmette un senso di disagio e di potenza emotiva che destabilizza.

Il pastore e gli anziani di Molotschna hanno assunto il potere sugli uomini e le donne qualunque della colonia, afferma. E gli uomini qualunque hanno assunto il potere sulle donne qualunque di Molotschna. E le donne qualunque di Molotschna hanno assunto il potere su… Ona indugia. Le donne tacciono.
Su nient’altro, dice Ona, che le nostre anime.

Un verbale freddo, cinico, che porta alla luce scenari simili a quelli raccontati da Margaret Atwood e che ti secca la gola mentre apprendi i dettagli di una vita trascorsa nella schiavitù.

Donne che parlano è un testo forte, cha merita di essere letto.

Ho faticato a farmi trascinare dallo stile di Miriam Toews, ha una costruzione del narrato troppo contorta e spesso ridondante nell’esprimere i concetti. Un dettaglio di poco conto se paragonato all’importanza della storia, ma che comunque credo sia giusto condividere.

Per il resto, posso solo dire di leggerlo!

A presto.

Delos

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