Recensione: “Illusione di potere” di Philip K. Dick.

Nel vasto panorama dei romanzi di Philip K. Dick, Illusione di potere (1966) non è certo al vertice, eppure la forza narrativa, la creatività, l’imprevedibilità del grande creatore di mondi immaginari compare anche qui e lascia il segno.

TRAMA


Il protagonista Eric Sweetscent medico specializzato in trapianti lavora al servizio di un uomo ricchissimo che a furia di interventi è già arrivato a centotrenta anni. E’ ossessionato da una moglie insopportabile che fa uso massiccio di droghe. Vivono in un’epoca travolta dalla guerra tra terrestri, stariani, che sono simili ai terrestri e reeg che hanno invece forma di insetti. A dispetto delle apparenze però gli stariani sono avidi, feroci e disumani, molto chiaramente nazisti, mentre i reeg sono tranquilli, pacifici e umani.
La vicenda si snoda a partire dall’uso di una nuovissima droga che ha effetti terribilmente tossici ma consente di viaggiare nel tempo. Il protagonista si trova a curare il Segretario delle Nazioni Unite, massima autorità terrestre, Gino Molinari, un dittatore da operetta, chiaramente ispirato a Benito Mussolini, che avendo abusato della droga è gravemente malato ma riesce a sfruttare altre versioni di se stesso recuperate da altre dimensioni spazio temporali.


RECENSIONE


Fa una certa impressione che in tutto il romanzo non compaia alcun personaggio positivo. Il protagonista sembra immerso in una società disgregata e respingente, nella quale non si realizzano mai legami autentici e l’unico essere con il quale riesce ad avere una conversazione dai tratti umani, è in realtà un Taxi-robot. Cioè una macchina.

Le pagine più travolgenti sono forse quelle in cui entra in gioco la droga allucinogena, certo anche per l’esperienza personale di Dick, ma tutto il romanzo gioca sul rapporto tra presente e passato, tra dimensioni temporali diverse e diverse versioni della realtà, in un intreccio vertiginoso e indistricabile.
Alla fine il protagonista che cerca di orientarsi in questo labirinto senza riuscirci si riscatta solo per via di un finale accento di umanità: restare ad accudire la moglie che nel frattempo è impazzita.
Ma il suo tentativo di orientarsi nel tempo, di fare i conti con il passato senza il quale anche il presente diventa incomprensibile, appare inesorabilmente fallito.


STEFANO ZAMPIERI

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