Recensione: “Amganco” di F. B. Modugno.

TRAMA:

Nel Ventitreesimo secolo, dopo un terzo conflitto mondiale che ha devastato il pianeta e decimato la popolazione, l’umanità, per sopravvivere e preservare la pace, ha dovuto scegliere tra l’etica e il consumismo. Ormai le uniche attività ammesse sono quelle legate alla conoscenza e alla ricerca, gli unici lavori possibili quelli legati all’istruzione e all’elaborazione di dati e informazioni. L’essere umano si dedica solo alla speculazione mentale e il corpo è diventato obsoleto in ogni ambito della vita. I rapporti diretti tra individui sono destinati a scomparire a favore della velocità di relazione e la robotica permette a chiunque di dedicarsi esclusivamente al sapere. L’intera società umana è pronta a cambiare per raggiungere il suo apice evolutivo e l’èquipe guidata dal dottor Neumann si appresta a realizzare il sogno di tutta la propria specie: andare oltre il limite imposto dalla natura grazie alle ultime tecnologie scoperte, unendo una conoscenza assoluta con una vita senza fine. Sacrificando a questa fede in un futuro migliore tutto ciò l’uomo ha ancora di umano.

RECENSIONE:

In “Amganco” di Francesco B. Modugno, pubblicato dalla Eris Edizioni, vengono delineati gli strascichi di un conflitto che ha fatto collassare l’intera società mettendo a tacere quasi ogni forma di individualismo.

«Una società dispotica, dove la conoscenza si è trasformata da strumento per essere liberi a limitazione delle proprie attività, della propria natura, nel nome del bene comune. Quale libertà si ha quando si è liberi di pensare ma non si è liberi di agire?».

Tutto è affidato alle macchine, il progresso tecnologico ha fatto sì che l’unica occupazione alla quale gli esseri umani possano dedicarsi sia la formazione delle giovani menti e la manutenzione di questi portentosi privilegi automatizzati.
Un gruppo d’élite lavora nell’ombra portando avanti un progetto tanto ambizioso quanto azzardato – avvalendosi di una serie di esperimenti transumanisti su cavie non consenzienti – ma che cambierà per sempre il modo di intendere l’esistenza.
Sarà ammissibile per la specie umana partire da quelle precarie fondamenta e conseguire il culmine evolutivo al quale aspira da millenni?
Tuttavia una volta aperto quel vaso di Pandora, non si sa quali atrocità verranno alla luce ma soprattutto quali saranno le conseguenze.


L’autore ha orchestrato questa science fiction filo-distopica servendosi di uno stile asciutto e dall’incedere quasi cinematografico, presentandoci una situazione a dir poco estrema. Non troverete tra queste pagine un regime dittatoriale che spadroneggia sul mondo intero, ma la fragile rinascita di una popolazione che è sopravvissuta, a caro prezzo, ad una Terza Guerra Mondiale.
L’intreccio si dipana attraverso l’espediente narrativo dell’alternanza dei punti di vista, da un lato la cavia, senziente e curiosa, che si arrovella sulla sua essenza umana così difforme dall’involucro che la contiene, la sua graduale presa di coscienza – che lei stessa definisce “trip cognitivo” – è raccontata con cognizione di causa e la dovuta coerenza ed è forse la parte che ho maggiormente apprezzato dell’intero romanzo; dall’altro seguiamo lo scambio di opinioni, gli attriti e le considerazioni dei dottori dell’ufficio selezioni Amganco che seguono dal laboratorio i progressi del loro folle progetto. Eppure per la repentinità dei cambi di POV trovo che questo accorgimento stilistico non sia stato sfruttato nel migliore dei modi, più leggevo e più ciò mi destabilizzava.

[…] sono stato umano, ora mi ritrovo a essere un mostro sperimentale rinchiuso in una gabbia dalla quale non ho modo di uscire.

La veste grafica del volume è impreziosita dalle illustrazioni di Erika Bertoli; immagini dall’impareggiabile nitore in cui l’accostamento del bianco e nero con quello che avviene durante la narrazione conferiscono quel quid di opprimente dato dall’atmosfera allucinata – dall’irreversibilità di un meccanismo a orologeria – che si respira fra queste pagine.
Un lettore attento noterà screziature cyberpunk con riferimenti a due grandi classici del genere distopico: l’intramontabile “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley e l’ahimè poco conosciuto “Kallocaina” di Karin Boye.

Elisa R

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