Recensione : Ma gli androidi sognano pecore elettriche di Philip K. Dick

In una Terra del futuro dove i sempre meno numerosi abitanti sono spesso catalogati come speciali a causa delle mutazioni indotte dalle polveri radioattive eredità di una guerra nucleare, umani e androidi fuggitivi convivono con difficoltà. Rick Deckard è un cacciatore di androidi, incaricato di ritirare gli schiavi sfuggiti al controllo, ma nello svolgere il suo compito si trova a farsi sempre più domande su se stesso e ciò che lo rende realmente umano. E a intrecciare strani rapporti con alcuni degli androidi. Finché gli eventi precipitano e ogni nodo si scioglie, per umani e androidi… Dal capolavoro di Philip K. Dick che ha ispirato il film di Ridley Scott, Blade Runner.

RECENSIONE

Vorrei provare a fare una recensione di questo romanzo senza alcun riferimento né diretto né indiretto al film che lo ha reso celebre ma allo stesso tempo ne ha, secondo me, un po’ offuscato la complessità che è invece il suo tratto distintivo, come sempre per altro accade nelle opere di Philip K. Dick.


Il romanzo infatti si gioca su diversi piani, ne possiamo individuare almeno tre ben distinti: c’è prima di tutto la storia del cacciatore di androidi Rick Deckard e del gruppo di androidi fuggiti da Marte che egli deve annullare. In realtà, nonostante le cautele linguistiche (si parla sempre di “ritirare”, mai di eliminare) di fatto l’azione non si distingue da quella di un vero e proprio assassinio. Ma la narrazione si gioca su una profonda e complessa ambiguità.

Perché Rick Deckard finisce per andare a letto con l’androide Rachel una donna bella e intelligente, rassegnata essenzialmente al proprio destino. E poi c’è un problema che si ripete continuamente: come identificare l’androide? Essi sembrano umani in tutto e per tutto, ci sono solo due tecniche di riconoscimento, non perfette, evidentemente, entrambe basate sul fatto di riconoscere nell’androide una assoluta impossibilità di provare sentimenti di empatia nei confronti degli altri. Dunque ciò che distingue l’umano dall’artificiale è soltanto questo: saper provare empatia, ma gli androidi dell’ultima generazione sono così sofisticati che ogni prova è dubbia. Ne abbiamo il sospetto dal racconto di una vicenda collaterale, quella del povero John Isidore, un “cervello di gallina”. Perché bisogna precisare: la società del futuro che qui viene descritta è una società divisa rigidamente tra persone dotate e persone che hanno un “cervello di gallina” come viene più volte ribadito, quasi si trattasse di una diagnosi clinica. John Isidore nella sua semplicità e immediatezza aiuta gli androidi in fuga senza farsi troppe domande. Egli non si preoccupa che siano umani o meno, prima di tutto perché “sembrano umani”. E su questo si gioca l’ambiguità.

C’è però anche una seconda linea tematica, quella che riguarda il bizzarro rapporto con gli animali. La società, inquinata profondamente, ha determinato l’estinzione quasi completa delle specie animali, ma al contempo ha imposto che ogni umano si faccia carico di un esemplare animale. Ed è un punto di onore e di distinzione. Chi non può permettersi un animale vero si accontenta di uno meccanico: nel caso del nostro Rick Deckard si tratta infatti di una pecora elettrica (ciò spiega in parte il senso del titolo). Rick si darà tanto da fare nel cacciare gli androidi proprio per poter guadagnare abbastanza da poter acquistare un animale in carne e ossa, cosa che poi accadrà. Egli diventerà proprietario di un capra. L’animale però farà una brutta fine, verrà uccisa da uno degli androidi che vuole colpirlo in ciò a cui tiene di più. Forse questa ossessione può spiegarsi proprio con l’esigenza del “prendersi cura” intesa come la prova della capacità di immedesimarsi negli altri esseri viventi, si torna cioè anche in questo alla questione dell’empatia che, un po’ alla volta, intrecciandosi con le diverse tematiche, finisce per apparire come il vero e proprio asse centrale di tutto il romanzo.

La terza linea tematica è quella che riguarda il rapporto con la donna. Da un lato la moglie con la quale i rapporti sono gestiti attraverso l’uso di uno strano apparecchio che consente di provare sensazioni a comando; dall’altro l’androide Rachel con la quale egli ha una relazione sessuale che sembra ispirata, più che dall’amore, dal desiderio di conoscere un mondo che gli è sconosciuto e incomprensibile. Da un lato dunque la freddezza e mancanza di emozioni naturali è surrogata dalla macchina che le produce artificialmente, dall’altro l’androide, cioè una macchina, che sembra inopportunamente provare delle emozioni.


Tra i tanti romanzi di Dick questo è giustamente uno dei più celebrati perché la creazione del contesto è solida e coinvolgente: una società malata, un mondo in sfacelo, buona parte della narrazione è ambientata in un grande condominio abbandonato, nel quale si percepisce perfettamente la distruzione dei rapporti sociali e affettivi, la mancanza di qualsiasi preoccupazione per l’altro, una vita senza futuro, dove il prendersi cura, che dovrebbe caratterizzare l’umano, è finalizzato, invece, a quel poco che resta del mondo animale. Senza che questo costituisca in alcun modo un valore morale, quanto piuttosto una forma di distinzione, uno status. Anche la cura è diventata una merce e dipende dalla disponibilità economica.
Deve farci riflettere che una simile visione di un futuro radicalmente distopico sia apparsa proprio nel 1968 ovvero nel pieno di un’ondata di cambiamenti sociali, politici, culturali, sulla spinta di una “rivoluzione dei costumi” cui certo Dick non fu estraneo. Ma è compito dello scrittore quello di vedere in anticipo dive porteranno certe linee di sviluppo del proprio tempo. E Dick aveva la vista lunga.

STEFANO ZAMPIERI 

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