Recensione: Fake accounts di L. Oyler

Care lettrici e cari lettori amanti della distopia, oggi vi presento un romanzo molto particolare…

Fake accounts è un romanzo che nulla ha di distopico e nulla di fantascientifico. È ambientato fra gli Stati Uniti e Berlino, alla fine del secondo decennio di questo secolo e narra in prima persona le vicissitudini di una giovane donna americana, newyorchese, mentre scopre che il fidanzato, anch’egli americano, conosciuto a Berlino, ha un account Instagram piuttosto seguito in cui promuove complottismi, fake news, ecc.

Come proposta è assai intrigante: una disamina della società odierna, fluida, ossessionata dai social media e concentrata sul proprio io frammentato e in crisi. Il viaggio, la permanenza in un luogo di alterità, la Berlino nemesi della società plutocratica e nevrastenica degli Americani in generale e dei newyorchesi ricchi e progressisti (a parole, naturalmente, e preferibilmente attraverso i social media, medium privi di messaggio), tutti temi promettenti, si diceva, ma svolti con una verbosità eccessiva ed eccessivamente compiaciuta, pallida imitazione da post su Facebook del flusso di coscienza, una coscienza, per altro, non in crisi, ma alla ricerca di una crisi che sia calzante e che rifletta un disagio perseguito come obiettivo e non vissuto e descritto come condizione.

TRAMA

New York. Una giovane donna con opinioni molto decise sulla Rete, di cui pure fa uso nella vita privata e su cui si fonda il suo mestiere, sbircia il cellulare del suo ragazzo, Felix, e scopre che è un celebre complottista anonimo. Questo spiega in parte il suo distacco e la sua elusività, ed è quasi un sollievo, perché le offre una buona ragione per lasciarlo, come già stava pensando di fare. Ma poi un incidente fa precipitare la situazione, e la protagonista di questa storia decide di lasciare New York e tornare a Berlino, dove lei e Felix si sono conosciuti. Qui si immerge in un mondo di expat, che come lei sembrano dotati di identità evanescenti e si guardano bene dal mettere radici, tutti sospesi in una sorta di acquario, in attesa di non meglio precisate certezze. Chiaro che di gente così non ci si può fidare, come del resto di Felix. E di lei ci possiamo fidare, noi che leggiamo la sua storia e ascoltiamo divertiti e sconcertati la sua versione dei fatti? Mentre scandaglia le app di incontri alla ricerca di distrazioni, la nostra protagonista scoprirà che non tutto è come sembra, anzi, tutto è come non sembra. Un ritratto lucido e sarcastico del nostro mondo, in bilico tra la realtà e il racconto che ne facciamo, i fatti e la loro messa in scena accuratamente orchestrata perché appaia attraente a chi la guarda attraverso uno schermo.

RECENSIONE

Personalmente ritengo questo romanzo una bellissima occasione persa, e persa malamente. Perché il potenziale di una descrizione degli Stati Uniti di oggi e di ieri (forse le pagine meno logorroiche e fastidiose sono quelle dedicate alla Marcia delle Donne in occasione del giuramento del Presidente Trump) c’era tutto, e visto dal filtro di una expat, da Berlino, attorno e attraverso temi di assoluta e vibrante attualità come la disinformazione di massa e il sottobosco assordante delle Conspiracy Theories. Purtroppo a mio parere – ma basta dare una scorsa alle recensioni dell’opera sui principali raccoglitori di commenti dei lettori – l’occasione è naufragata in una scrittura allo stesso tempo sciatta e compiaciuta, nella delineazione di un personaggio sgradevole, in certi casi odioso, che sfiora spesso il tratto caricaturale e involontariamente comico della ‘millenial’ in crisi.
Niente di fantascientifico e distopico, e va benissimo, e la realtà di oggi è già così spesso distopica e fantascientifica, ma la caricatura di una caricatura è un po’ troppo, e le trecento pagine del romanzo non finiscono mai.

Roberto


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