Recensione L’uomo invisibile di H.G.Wells

Bentrovati fedelissimi e fedelissime!

L’uomo invisibile (1897) è uno dei capolavori assoluti di Wells e uno dei romanzi che hanno segnato più profondamente l’immaginario fantastico e fantascientifico occidentale. Da questo romanzo sono stati tratti anche innumerevoli versioni cinematografiche, da quella storica del 12933 di James Whale a quella più recente diretta da tto da Leigh Whannel (2020).

TRAMA DE L’UOMO INVISIBILE

Anche in questo romanzo, come in altre narrazioni di Wells, la vera protagonista è la scienza ma portata alle sue estreme conseguenze, una scienza che raggiunge risultati imprevedibili e incontrollabili. Lo scienziato protagonista, Griffin, ottiene infatti l’invisibilità non per effetti magici ma attraverso lo studio, la sperimentazione, l’applicazione di teorie scientifiche. È un processo ossessivo ma razionale quello che lo guida e lo porta a una condizione di cui non comprende e non controlla le conseguenze.
Griffin diventa un mostro, come Frankestein, e come l’uomo artificiale della Shelley, sconta un destino tragico di solitudine e di incomprensione: gli altri non possono comprenderlo, non possono avere compassione per lui, egli appare piuttosto come un pericolo da combattere, e infatti la maggior parte del romanzo ci narra degli scontri con gli altri. E dell’inevitabile tragico finale.


RECENSIONE DE L’UOMO INVISIBILE

Sarebbe stato facile per l’autore insistere su tutte le straordinarie cose che potrebbe fare un uomo invisibile, ma la storia mette in evidenza piuttosto la condizione esistenziale di solitudine cui egli è condannato, la condizione del diverso, la sua totale incapacità di farsi comprendere, l’incomunicabilità radicale che contraddistingue la società moderna, l’impossibilità di stringere relazioni autentiche al di fuori delle condizioni comuni, di quella che viene assurdamente considerata la “normalità”. Ciò che viene cancellato è il diritto all’esistenza del singolo non integrato.
Appunto come accade al Frankestein di Mary Shelley, il mostro incompreso. Ecco così, stesso destino, stessa tragedia. Ed entrambi, si noti vittime di una scienza potente, sempre più potente, in grado di ottenere risultati incredibili, ma del tutto incapace di prevedere e calcolare le conseguenze delle proprie azioni più estreme.
Potremmo presentarlo dunque, da un lato, proprio come il dramma della diversità, non tanto la realizzazione di un sogno segreto di tutti noi, essere invisibile, poter fare tutto ciò che desideriamo senza correre alcun pericolo, né sentire il peso di alcuna responsabilità, no, non l’affermazione del desiderio illimitato ma al contrario la difficoltà di esser diversi in un mondo di uguali, in un mondo omologato. E dall’altra parte il romanzo contiene una evidente mozione critica rivolta alla scienza e alla tecnica quando esse siano vittime della propria potenza e insieme dell’incapacità di assumersi il peso delle conseguenze delle proprie azioni


STEFANO ZAMPIERI

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