Recensione Sand di Hugh Howey

Avevo letto la “Trilogia del Silo” di Hugh Howey in tempi non sospetti, ben prima che il successo delle serie (molto bella) ne decretasse la consacrazione, per cui mi sono prontamente buttato anche su questo “Sand”, che dovrebbe rappresentare l’inizio di una nuova saga. Solo ora, però, ho deciso di scrivere qualcosa in merito, segno che non tutto ha funzionato come avrebbe dovuto (almeno rispetto alle mie, altissime, aspettative).

Sand: la trama del libro

Siamo in un mondo post-apocalittico (non è dato sapere tutti i dettagli in merito), in cui la sabbia ha di fatto preso il posto dell’acqua sul nostro pianeta. Tanto che gli abitati sopravvissuti hanno imparato ad usarla allo stesso modo, tramite delle tue speciali che consentano a speciali “sommozzatori” di immergersi nelle profondità sabbiose come fossero mari. Con tutte le conseguenze del caso, visto la fisica completamente diversa dei due elementi.

La storia è vista da alcuni personaggi di una famiglia in particolare, che dovrà affrontare le proprie vicissitudini per sopravvivere in un mondo in rovina, dove proprio il padroneggiare le immersioni nella sabbia è motivo di grande prestigio (visto che permette di riportare alla luce materiali e tecnologie del passato, rimaste nelle profondità del sottosuolo ormai).

Recensione Sand di Hugh Howey

Recensione Sand di Hugh Howey

Che a Howey piacciano le rappresentazioni estreme del disagio umano e sociale, è confermato anche in questa occasione, dove (di nuovo) siamo alle prese con un’umanità che sta facendo i conti con le maledizioni del suo passato. Per niente assenti anche in questa nuova e devastante realtà.

Di base, ci troviamo sempre di fronte a personaggi disperati, che arrancano nel nuovo mondo post apocalittico cercando una via di uscita. O più spesso, navigando a vista per non essere risucchiati dalle sabbie. In questo caso specifico, immergendosi letteralmente in esse.

Nell’esplorazioni delle profondità sabbiose del pianeta, ci sono diverse simbologie che si specchiano nella realtà. Il passato celato sotto cumulo di macerie, che riaffiora di tanto in tanto per far breccia nel presente, a vantaggio come sempre solo di pochi eletti, disposti a tutto per accaparrarsi beni preziosi, prestigio, potere, cibo.

Un romanzo, o meglio l’inizio di una saga, che serve soprattutto a descrivere un contorno e un contesto, immergendosi (anche in questo caso) in una gergo tutto da scoprire che riguarda, ovviamente, la sabbia, che avvolge e sovrasta tutto: il linguaggio, il corpo, la mente, le persone, le cose.

La più grande differenza che mi viene in mente, è che quando ho iniziato a leggere “Wool” ci ho messo solo un paio di pagine prima di essere trascinato nella storia, costruita in maniera perfetta a incastrare pezzo dopo pezzo il puzzle di quel thriller fantascientifico. Proprio la storia era il fulcro che portava avanti il tutto, con personaggi e scrittura al servizio della stessa, a volte in maniera anche essenziale.

Con “Sand”, Howey ha voluto probabilmente fare un passaggio ulteriore. Della storia, in verità, se ne dice poco fino a buona parte del romanzo. Ci sono più che altro i personaggi e c’è, soprattutto, quel mondo sabbioso da raccontare. Sempre a mio parere, questo approccio mi ha dato pro e contro in lettura: da una parte la fatica nel procedere con lo stesso spirito di curiosità e coinvolgimento, dall’altra la consapevolezza di una stratificazione sempre più profonda dei protagonisti, in attesa di uno sviluppo che, però, tarda ad arrivare nella sua forma più spettacolare.

Il “sense of wonder” più classico, lo si ritrova magari nell’ultimissima parte del libro, quella forse più sconvolgente, seppur monca, visto che di fatto lascia aperte un sacco di domande che si risolveranno (forse) solo nel seguito. Resta, però, che il finale è qualcosa di non proprio scontato, che è probabilmente il messaggio principale di quest’opera di Howey.

E resta anche la sensazione di non essere stato particolarmente colpito da questo lavoro, che ho faticosamente portato al termine. Fortunatamente, appunto, perchè la parte migliore è l’ultima, ma mi chiedo se non sarebbe stato possibile dare un po’ più di vita anche alle prime trecento pagine. Magari con qualche attenzione in più per i dialoghi, che a memoria erano una delle parti più interessanti della scorsa trilogia del Silo.

Non so, magari è da rivalutare quando l’intera nuova opera sarà conclusa e si potranno tirare le somme più nel dettaglio. Per ora, non sono particolarmente soddisfatto.

Alla prossima

Marco

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