Recensione: “Prigionieri della libertà” di Stefano Zampieri.

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TRAMA

Una narrazione distopica nella forma dell’apologo disincantato, ironico e drammatico insieme. La storia di un prigioniero e di un mondo (il nostro?) dove la libertà è cancellata dall’omologazione, dall’indifferenza, dall’accettazione di un potere ridotto a teatro, se non a farsa. Un mondo tragicamente senza via d’uscita in un romanzo che è insieme filosofico, politico ed esistenziale.

RECENSIONE

Avete letto la trama e non ci avete capito nulla? Succede quando è un filosofo a scriverla.

Prigionieri della libertà è un saggio travestito da romanzo, è un racconto che ti stringe con la claustrofobia della prigionia, un viaggio tra quattro mura e un mondo vittima di un’immagine conformata.

La storia inizia con un uomo rinchiuso in cella, un prigioniero senza nome, di cui non si conosce il crimine e nemmeno l’età. Un essere umano che vola con la mente oltre le mura del carcere in cerca di una libertà che tutti sembrano aver dimenticato.

Tra digressioni, che spesso richiedono una seconda lettura, e sprazzi di monarchia tragicomica la storia ci trascina verso il suo fulcro, verso il motivo che ha spinto un anonimo signor nessuno a essere imprigionato a vita.

Nonostante il tema e la gestione delle idee Prigionieri della libertà è un testo che si legge molto velocemente e che, grazie all’alternanza con la storia dei Re d’Italia, riesce a risultare più leggero di quanto non sembri dalle prime pagine.

Non è un romanzo d’azione e nemmeno uno adatto a chi cerca un po’ di semplice svago. È un testo di pensiero, di concetto, che premia il ragionamento che scaturisce a fine lettura.

Si può essere prigionieri della libertà? Si può essere liberi nella prigionia?

A presto.

Delos

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