Recensione: “L’isola abitata” di A. e B. Strugackij

Bentrovati cari amanti della fantascienza e della distopia!

Oggi vi presento un romanzo della fine degli anni Sessanta del Novecento, scritto da due fratelli sovietici, autori illustri non solo ai loro tempi, pregevolissimo romanzo ora riproposto in traduzione italiana con saggi di corredo che ne ripercorrono storia, vicende, contesto. Storia di un’avventura interplanetaria e della scoperta di un mondo che molto ha in comune con la Terra durante la Guerra fredda, godibilissimo gioco di adombramenti e ironie che unisce all’azione bellica un notevole sottotesto sull’epoca e sui problemi del tempo e del luogo di cui è figlio.

Una lettura avvincente e allo stesso tempo un documento di una fase ormai remota della fantascienza internazionale. Da non perdere.

TRAMA

Il romanzo, scritto nella seconda metà degli anni Sessanta e pubblicato, dopo una serie di vicissitudini legate alla censura sovietica (ricostruite nei due saggi che arricchiscono il volume, la postfazione di Boris Strugackij e il pregevole e documentatissimo Distrarre la scimmia. I fratelli Strugackij e l’(auto)censura della traduttrice del romanzo Valentina Parisi narra le vicissitudini del protagonista, naufrago spaziale in un futuro remoto ma imprecisato.

“Novello Robinson intergalattico”:

Il protagonista, Maxim, esploratore spaziale dilettante, naufraga su un pianeta sconosciuto, Saracks e, credendolo disabitato, si crede un novello Robinson Crusoe, da cui il titolo dell’opera. Comincia a vagare fra boschi e pianure e si accorge che il pianeta è molto inquinato a tutti i livelli e dopo non molto incontra gli abitanti, umanoidi rigidamente militarizzati che ricordano molto da vicino i terrestri degli anni Cinquanta e Sessanta della terra. Sono reduci da una guerra nucleare che ha inflitto non pochi danni al pianeta e a chi lo abita. Le condizioni di vita sono dure e le radiazioni onnipresenti. Viene catturato da gruppi armati che distruggono la sua nave spaziale scambiandola per un’arma e portato in una sorta di campo di concentramento (dove pullulano nomi tedeschi o comunque teutonizzanti) e quindi in un centro di ricerca del Governo locale da cui scappa per ritrovarsi in una gigantesca città tetra e inquinatissima, capitale dello Stato totalitario in cui si trova. Di probabile derivazione orwelliana è la foga che prende due volte al giorno i cittadini, foga entusiasta ed estatica d’amore e gratitudine per i padri sconosciuti, ignoti e inconoscibili fautori di ogni bene. Maxim cerca di sopravvivere in questa realtà in seno alla popolazione locale, divisa fra l’adorazione e la lealtà verso i padri e il terrore per i ‘degenerati’, nemici del popolo e terroristi, autori di attentati contro le onnipresenti torri e torrette che contraddistinguono l’intero territorio.

“Complicazioni prevedibili quanto impreviste”:

Le cose si complicano per il protagonista quando viene arruolato dai militari e gli viene ordinato di giustiziare dei terroristi, fra cui una donna, al suo rifiuto gli sparano sette colpi di pistola e lo danno per morto. Si unisce ai ‘degenerati’ e alla loro lotta sotterranea. Costoro non sono mostri com’erano dipinti dalle autorità e inoltre soffrono di misteriose violentissime emicranie due volte al giorno, di cui reputano le torri responsabili.

Durante un’azione contro una di queste torri Maxim viene catturato, processato e condannato all’internamento in un campo di rieducazione a sud, nella zona in cui era atterrato tempo prima. Qui scopre che le torri emettono un segnale molto potente atto a controllare la mente delle persone, operato dai Padri per mantenere il controllo sulla popolazione, non solo, gli viene rivelato anche che il senso di euforia è indotto per aiutare le persone a non percepire le differenze fra i trionfalismi della propaganda e la plumbea realtà. Queste emissioni interagiscono con tale forza sulla mente da annichilire ogni capacità critica e rendere l’onnipresente propaganda di stato ancora più efficace. Come le autorità sovietiche abbiano lasciato passare un’enormità di questo genere, assai più corrosiva dell’odio orchestrato in 1984, resta un mistero di pertinenza degli storici.

Maxim vuole annientare questa condizione di oppressione e diventa leader militare, cerca senza successo validi alleati a Sud ma le miserie delle popolazioni e l’incapacità organizzativa dei più rendono impossibile ogni azione efficace. Cerca allora di trovare il modo di distruggere la torre centrale di controllo ma scoppia una guerra dello Stato contro un vicino rivale, Honti, guerra in cui Maxim e i suoi amici si trovano invischiati. Solo lui sopravvive e viene in parte riabilitato dallo Stato proprio in virtù della sua partecipazione alla guerra. Quando le autorità si accorgono che Maxim è completamente immune ai raggi viene coinvolto in un progetto di golpe che dovrebbe mettere lui stesso a capo dello Stato (e delle menti di tutti gli abitanti). Maxim finge di stare al gioco ma una volta penetrato nel sancta sanctorum del controllo mentale e della depressione paralizzante distrugge tutto e libera il paese da quella schiavitù.

“Un Padre della Patria e le sue ragioni”:

La parte conclusiva del romanzo vede la figura di uno dei Padri, detto il Viandante, che, scontrandosi con Maxim, rivela le ragioni progressive del suo operato e le radici dello status quo. La distruzione operata da Maxim condurrà a risultati devastati visti i livelli di assuefazione dei sudditi, ma soprattutto è stato interrotto un piano per rendere più sicuro lo Stato dagli assalti stranieri. Maxim tuttavia rifiuta di lasciare il pianeta e decide di rimanere per lottare gomito a gomito con il popolo, finalmente libero da condizionamenti mentali, per il miglioramento e il progresso.

RECENSIONE

La lettura è gradevole, avvincente, non appesantita da elucubrazioni filosofeggianti di certa fantascienza di altre epoche. La critica del totalitarismo e la riflessione continua sul libero arbitrio e sulla capacità di scelta emergono attraverso le azioni e i dialoghi dei personaggi in modo naturale, dinamico e consequenziale.

Il tema del potere e della perversione che i suoi abusi inducono, unito alla riflessione sulle capacità dell’individuo di resistere sono elementi costitutivi della letteratura, russa e non, di genere e non. Questo romanzo d’azione e di riflessione ha il pregio di toccare punti sensibilissimi della cultura sovietica e internazionale in un’epoca cruciale e problematica come il Sessantotto e gli anni successivi con una leggerezza e una naturalezza notevoli.

Le avventure e le disavventure di Maxim, che più che su un altro pianeta sembrano ambientate fra il secondo conflitto mondiale e un futuro orwelliano di mega nazioni totalitarie ora in lotta ora alleate, con lo spettro dei disastri nucleari in potenza o in fieri, illustrano una casistica immensa e illuminante di situazioni personali e collettive al limite del paradosso, ma tutte ‘reali’ e ‘realistiche’ nel contesto non solo della Guerra Fredda ma anche di un possibile futuro distopico dove il controllo mentale avviene tramite raggi irradiati da torri e non, più modestamente, con i media ordinari, anch’essi, guarda caso, irradiati tramite torri e satelliti.

La lezione è quella della fantascienza più seria e riuscita: una lezione sul presente e sul passato tramite un’azione svolta in un futuro in cui le cose sono andare in modo solo apparentemente diverso da ciò che conosciamo. Con buona pace di Togliatti il romanzo di Orwell, 1984, ha descritto un mondo in cui il socialismo reale si sarebbe evoluto in occidente, e l’oriente, che il socialismo reale l’ha vissuto davvero e per decenni, non ha potuto che proiettarne la critica al di là e oltre le coordinate spazio temporali locali: un altro pianeta che sa di Unione Sovietica, quindi, con Stati e satelliti ora compiacenti e alleati ora in rivolta e nemici, l’inquinamento dell’industria bellica e di quella pesante, nomi non russi ma germanici per appagare la censura del regime, ma il messaggio è chiaro, chiarissimo sia per i lettori di allora, che qualche risata se la saranno fatta nel chiuso delle case, che a maggior ragione quelli di oggi, che hanno un documento di rara efficacia fra le mani, un romanzo di fantascienza che è anche cartina di tornasole di tutto un modo di scrivere e d’interpretare il reale sì molto datato, ma anche per questo importante e degno di nota.

“Non lo so” rispose Maxim. “Farò quello che mi ordinerà chi è più saggio di me. Se necessario, mi occuperò dell’inflazione. Oppure affonderò sottomarini… Ma so sicuramente qual è il mio obiettivo principale: finché rimarrò in vita, nessuno costruirà qui un nuovo Centro. Neppure con le migliori intenzioni…”

Alla prossima!

Roberto Risso

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