Recensione ” La città sostituita” di P. K. Dick

Bentrovati fantadiatopici!

Per il mio personale itinerario di lettura / rilettura di tutta l’opera di Dick vi propongo oggi La città sostituita (1957, ma scritto nel 1953) è uno dei primi romanzi di Dick e lo si percepisce bene. Perché è un romanzo ancora molto lineare, senza quel labirinto di intrecci che caratterizzerà i romanzi successivi. Qui ancora l’autore sembra incerto tra la fantascienza e il fantastico, in certi punti perfino fantasy. Lo si coglie fin dal titolo originale The cosmic Puppets con quella allusione alle marionette che dà un sapore quasi infantile per altro giustificato dal fatto che alcuni dei personaggi sono appunto ragazzini. D’altra parte si tratta pur sempre di un romanzo di Dick e quindi non è difficile cogliere già qui alcune delle sue ossessioni che poi diventeranno decisive in seguito.

TRAMA


La storia in sé sembra abbastanza semplice: Ted Barton decide di tornare dopo vent’anni di assenza al suo paese natale. Lo spingono un po’dì di nostalgia e il desiderio di rivedere i luoghi della sua infanzia. Ma con grande sorpresa si rende conto che la sua vecchia città non esiste più, non è semplicemente cambiata è proprio diversa, strade, case, giardini, non c’è più nulla di quel che ricordava. La tranquilla cittadina di provincia sembra del tutto cambiata. Poi però le cose cominciano a farsi misteriose, perché scopre leggendo vecchi ritagli di giornale di essere morto di scarlattina all’età di nove anni. Ma ancor più sconcertante è la scoperta di non poter lasciare la città. A quel punto tutto scivola nel fantastico. Due ragazzini Peter e Mary con poteri straordinari, capaci di far animare dei pupazzetti d’argilla, i golem, capaci di comunicare con gli insetti, coi topi, coi serpenti. I due sono in lotta fra loro per la conquista del potere nella città. Poi d’improvviso compaiono gli Erranti, sorta di fantasmi che passano per i muri delle case. E poi ancora due figure incredibili, immense, che si confondono con la terra, il cielo, il sole: da una parte Ormzad e dall’altra Ahriman, il Bene e il Male. È su questa lotta che il romanzo si conclude, lasciando però alla fine lo spazio per un insolito, almeno per Dick, lieto fine.


RECENSIONE


Le ossessioni mistiche sempre presenti in Dick, il contrasto universale tra il Bene e il Male, i poteri fuori del comune, sono tutti elementi tipici della narrativa dickiana. Qui sono inseriti nell’atmosfera della provincia americana nella quale i negozi di ferramenta, l’emporio, il fabbro, sono letti come una superficie che nasconde un’altra dimensione. È questo il gioco di specchi affascinante che Dick mette in scena (non dimentichiamo che il primissimo titolo del romanzo era A Glass of darkness, Uno specchio di tenebre): un’altra dimensione, un’altra realtà sottostante quella banale e comune che si vede. C’è un altro mondo sotto questo mondo, sembra essere il suggerimento dell’autore, ma in ogni caso, in questo mondo come in ogni altro, è sempre e comunque la battaglia tra il bene e il male che guida le sorti del nostro destino,

STEFANO ZAMPIERI

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