Recensione: Slavoij Žižek, The Matrix

Il cyberspazio contiene una dimensione gnostica. Vale a dire una sorta di materialismo spiritualizzato. Non una realtà superiore, puramente speculativa e astratta, ma una proto-realtà evanescente, una dimensione di fantasmi irreali. Una delle menti più brillanti dei nostri giorni, il filosofo irriverente per eccellenza Slavoj Zizek sa penetrare l’ovvietà dell’immagine per aprirci gli occhi su quel che abbiamo ancora il potere di vedere

RECENSIONE

Raramente un film è riuscito a suscitare tante riflessioni di natura filosofica, anche se spesso approssimative e superficiali, ma d’altra parte, Matrix (1999) scritto e diretto dai fratelli Andy e Larry Wachowski, è un film molto particolare in primo luogo proprio perché esplicitamente ispirato a una serie di figure classiche del pensiero filosofico: dal “mito della caverna” di Platone, all’ipotesi del genio maligno di Cartesio, dall’esperimento mentale dei cervelli in una vasca di Hilary Putnam, al principio del “fantasma nella macchina” di Gilbert Ryle.


Fra le diverse opere critiche suscitate dal fortunatissimo film vorrei segnalare quella del vulcanico filosofo Slavoij Žižek variamente definito come lacaniano, o hegeliano o stalinista, o marxista, o tutte queste cose insieme, perfetta rappresentazione del pensiero post moderno che fa miscela di tutto perché non tiene più nulla per fermo.


Pubblicato da Mimesis nel 2010 questo libretto, dal titolo The Matrix (traduzione di Sara Criscuolo) appartiene sicuramente a quel tipo di testi che si migliorano quando sottratti all’immediatezza del dibattito pubblico e alle mode intellettuali un po’ stucchevoli con cui si trastulla l’editoria del nostro tempo. Libri che, per questo, è meglio rileggere a distanza di tempo.


La questione posta dal film, secondo Žižek è compresa fra due polarità: da un lato la lettura francofortese (la Matrix come il Capitale, che colonizza anche la nostra interiorità), dall’altro la lettura lacaniana (la Matrix come reificazione dell’ordine simbolico come tale).
La prima evidenza è che Matrix tenta di incrinare la nozione effettiva di realtà. È un incubo tipicamente americano ben rappresentato in The Truman Show (1998): la scoperta che il benessere, la perfetta realizzazione della vita è solo una finzione, puro spettacolo. Esperienza già anticipata nel romanzo di Philip Dick Tempo fuori sesto, e che può essere riassunta così:

“il paradiso californiano consumistico e tardo – capitalistico è irreale nella sua iperrealtà, privo di sostanza, privato di inerzia materiale.”


Se allora ci chiediamo cos’è la Matrix, la risposta secca di Zizec è che essa è

“semplicemente il lacaniano “grande Altro”, l’ordine simbolico virtuale, la rete che struttura la realtà per noi.”


Il “grande Altro” è la sostanza di quella che banalmente chiamiamo cultura, e che rappresenta invece il lato umano dell’uomo, linguaggi, pensieri, figure, simboli, ecc. Ma è proprio quello che oggi nel nostro mondo si sta disintegrando: per esempio nel linguaggio degli esperti e degli scienziati, gergo professionale che non può più essere tradotto nel linguaggio comune (possiamo usare espressioni come “buchi neri”, Big Bang, neutrini e bosoni, lungi dal sapere esattamente il loro significato); oppure nella moltitudine degli stili di vita con cui oggi ci dobbiamo confrontare, fino al paradosso dell’avanzatissimo programmatore indiano che alla sera accende la candela votiva sull’altare di una divinità e rispetta la sacralità della mucca.


Il cyberspazio non ha creato un grande Altro comune, ma una pluralità incontenibile di “piccoli altri”, identificazioni di natura tribale, localistica.
Un ruolo speciale all’interno di Matrix lo riveste Neo, l’Eletto, colui che è un grado di vedere che la realtà quotidiana non è reale ma solo un universo virtuale. Che, quindi, è un grado di percorrere anche violando le comuni leggi del reale (come per esempio fermare pallottole…).
Infine la Matrix per Zizec replica l’occasionalismo di Malebranche.


Al rapporto tra le due sostanze, mente e corpo, rigidamente distinto da Cartesio e poi collegato solo per via della fantasiosa ghiandola pineale, Malebranche oppone l’idea che la connessione tra la linea causale della mente e quella del corpo, sia determinata da Dio che, ogni volta (ecco l’occasionalismo appunto) stabilisce il contatto tra la mia idea e la corrispondente azione. Secondo Žižek Dio è proprio il grande Altro cioè l’ordine simbolico stesso che si interpone tra corpo e mente. La possibilità di violare le leggi della Matrix è vincolata alla condizione di restare entro la Matrix. Schiavi di essa. Viene da chiedersi allora perché la Matrix abbia bisogno dell’energia umana per esistere. Non è solo questione di energia, si potrebbero infatti trovare altre fonti, si tratta del fatto che

“la Matrix si nutre del godimento umano”


In conclusione Matrix rappresenta una intuizione essenziale:

“da un lato la riduzione della realtà a regno virtuale regolato da leggi arbitrarie che possono esser sospese; dall’altro, la segreta verità di tale libertà, la riduzione dell’individuo ad una strumentalizzata ed estrema passività”


La lettura di Žižek è di sicuro affascinante e, da un punto di vista filosofico, molto stimolante, anche se il suo stile, che ormai è diventato un modello per certa filosofia da spettacolo, è capace di svariare nel giro di un capoverso da Lacan a Hegel, Levi-Strauss, Malevich, Napoleone, Freud, Adorno, Hitler e alla fine non sei mai del tutto sicuro di aver fatto una importante esperienza di pensiero o di esser stato soltanto preso un po’ in giro. E ti chiedi: ma è questo il teatro filosofico contemporaneo? Forse sì, e Matrix è la sua chiave.

STEFANO ZAMPIERI

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