Recensione RUR. Robots Universali di Rossum di Rogerio Pietro Mazzantini

RUR Rossum’s Universal Robots è originariamente il testo teatrale che, nel 1920, introduce nella cultura mondiale il termine “robot”. La storia, una delle prime distopie del XX secolo, racconta le tragiche conseguenze innescate dalla creazione di un uomo artificiale, organico ma apparentemente privo di quelle caratteristiche che rendono l’uomo debole e fallibile, come i sentimenti, i bisogni e il libero arbitrio – in una parola, l’anima. Tuttavia nessuna creatura può essere radicalmente diversa dal suo creatore e i robot di Karel Čapek, prodotti come beni di consumo per sollevare gli esseri umani dalle fatiche del lavoro fisico, sanno essere solidali tra loro, ribelli e violenti come gli uomini che li hanno costruiti. Nella storia di RUR si riflettono le grandi paure del Novecento di fronte all’avanzata del totalitarismo bolscevico, della vertiginosa corsa del progresso tecnico-scientifico, della disumanizzazione delle masse e delle ingiustizie sociali del capitalismo industriale. RUR è un «ammonimento alla società tecnologica, perché si avveda in tempo del

COMMENTO SUL LIBRO

È noto che il termine robot è stato introdotto da Carel Čapek nel 1920 in un testo dal titolo R.U.R. Si tratta però di un testo teatrale, poco letto e ormai non più rappresentato. Originale e opportuna dunque l’idea dello scrittore brasiliano Rogerio Pietro Mazzantini di riscrivere quel vecchio testo in forma di romanzo ambientandolo ai giorni nostri. Un’operazione molto ben riuscita, a mio modo di vedere per la quale dobbiamo ringraziare anche la piccola ma coraggiosa casa editrice milanese I dobloni – Covo della Ladra.

La storia è quella raccontata da Čapek. Siamo in una società che si affida ai robot per ogni attività lavorativa, e progressivamente diventa del tutto dipendente da essi. Un gruppetto di ingegneri e tecnici, gestisce la grande fabbrica che costruisce i robot, che hanno natura biologica e non meccanica. Ma c’è anche un politico che per acquistare consenso inizia una battaglia per i diritti dei robot e contro lo sfruttamento disumano che essi subiscono, una battaglia per merito della quale i robot vedono riconosciuti il loro diritto a essere considerati umani, e a portare armi. Sembra un atto di giustizia, ma ha delle conseguenze drammatiche.


Un robot più intelligente degli altri, ormai reso consapevole, guida la rivolta contro gli umani. I robot che hanno acquisito il diritto di portare armi sono pronti alla rivolta e avranno gioco facile nello sterminare la razza umana.
Il finale si gioca intorno alla differenza che i robot non possono superare: essi infatti non sono in grado di riprodursi, hanno bisogno dell’uomo per questo. Ma se ne rendono conto troppo tardi. La formula che consente la produzione di robot quasi umani, quella che dà la vita all’insieme di carni e muscoli e ossa prodotte artificialmente, viene distrutta dalla protagonista. Tutto dunque appare perduto, la specie umana annientata, i robot destinati a finire. A meno che… Non sveliamo il finale che lascia uno spiraglio di luce nella prospettiva di un futuro di compromesso, tra robot e umani.

È trasparente il significato metaforico già proprio dell’originale, i robot rappresentano chiaramente il mondo dei lavoratori, quel proletariato sfruttato che reclama il proprio posto nella società e un riconoscimento fino ad allora negato. La riscrittura sembra accentuare questo elemento già presente nell’originale.
Leggiamo questa invettiva del robot Radius, il capo della rivolta:

“Voi umani siete un cancro dell’universo, siete creature crudeli e fredde che pensano solo a se stesse. Siete orgogliosi ed egoisti, schiavizzate persino i vostri simili. Dovrei forse aspettarmi pietà per i Robot da parte vostra? È impossibile, non l’avreste mai. Anzi, non l’avreste avuta, visto che sparirete dalla scena della vita entro poche ore.

Questo significa che noi, i Robot, siamo la cura di questa malattia chiamata Umanità. Niente di più corretto. Alla fine noi vi siamo superiori moralmente, siamo più forti, più degni, migliori di voi in qualsiasi cosa e invece voi eravate solo un problema che andava risolto.”

Il contenuto critico, già vivo nell’originale di Čapek, diventa nella riscrittura di Mazzantini ancora più evidente. E si svincola dal riferimento al mondo della Russia post-rivoluzionaria per confrontarsi con le contraddizioni del nostro mondo, con i precari equilibri tra le nazioni e le classi sociali, gettando lo sguardo alla prospettiva di un futuro che richiede equilibrio e cooperazione prima che conflitto.

STEFANO ZAMPIERI

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