Recensione Strega di Johanne Lykke Holm

TRAMA

Rafaela lascia la casa dei genitori per raggiungere la città di Strega, sulle Alpi, e lavorare all’hotel Olympic. Insieme a lei, arrivano altre ragazze, tutte diciannovenni che come lei sono lì per essere educate come cameriere. I giorni in hotel sono scanditi da una rigida routine in preparazione dell’arrivo di misteriosi ospiti, che tardano. Rafaela e le altre vengono considerate come se fossero un’unica persona, premiate e punite severamente all’unisono, e istruite nei gesti e nel portamento a una femminilità sottomessa. Ma anche loro cominciano a percepirsi come un solo corpo, al punto da fare tutte gli stessi sogni. Poi uno spettacolo teatrale e un party con il primo gruppo di ospiti, tutti uomini, arroganti e brutali, fanno precipitare gli eventi. Cassie – una delle ragazze – scompare. L’atmosfera a Strega diventa inquietante e insostenibile, carica di sospetto e Rafa, insieme alla sua migliore amica Alba, medita la fuga. In Strega le giovani donne vengono addomesticate con il contenimento di corpi e di desideri, attraverso rituali e sacrifici che rimandano alle rigide regole di castrazione al femminile nella cultura patriarcale. Una nuova “Fuggitiva”, sulla scia della grande tradizione letteraria dell’horror femminile e femminista che richiama gli universi distopici della Atwood.

RECENSIONE

Amici di LDFO oggi vi parlo di una lettura doppiamente “stregata” non solo nel titolo, ma perché concorre al Premio Strega Europeo 2023.

Nove giovani ragazze si trovano in un hotel per apprendere le maniere più appropriate per affacciarsi nella società con il dovuto decoro e come diventare delle brave massaie, il tutto sotto l’occhio vigile delle tre donne che gestiscono la struttura.
Tra queste ragazze si crea un affiatamento – anche a causa delle rigide regole alle quali devono obbligatoriamente sottostare – che va ben oltre il concetto di sorellanza. Si muovono quasi all’unisono, compensando gesti e parole a vicenda ma quando, una sera, una di loro scompare si scoprono spaesate, perdute…
Ed è in quel momento che le loro esigue certezze vacilleranno.

“Ci faceva male tutto. Il corpo, l’anima e il rovescio dell’anima.”

Pur mantenendo ognuna la propria indole è la coralità la caratteristica fondante di questo gruppo al femminile; hanno in comune una sensualità che germoglia, una giovinezza che di spensierato ha ben poco, il dover fare fronte comune di fronte alla misoginia e al machismo dilagante, circoscritte in ruoli imposti dai dettami del patriarcato e perpetrati talvolta dalle stesse donne.

È l’opera di Johanne Lykke Holm, su traduzione di Andrea Stringhetti, che va a infittire le fila della collana della NNEditore “Le Fuggitive”.
L’autrice ordisce un intreccio, fatto di senso del tragico e del perturbante, incentrato sul contenimento delle pulsioni del corpo femminile, un corpo che, per quella società, non può e non deve essere impudico e libero.
Strega racconta la vulnerabilità di queste donne ancora acerbe, che stanno vivendo quel delicato momento in cui si smarrisce la strada del proprio io, della propria identità attraverso la prospettiva di una di loro: Rafaela e l’acredine del suo sguardo, conducendo il lettore nelle pieghe più nascoste del cuore umano, quelle intessute di solitudine e ambiguità e da un silenzio soverchiante, quello di Cassie, l’assente, senza la quale dovranno imparare a vivere.


Sono sempre entusiasta di scovare metodi di scrittura e letterature innovative, apprezzo molto la sperimentazione e, nel caso di Strega, l’impalcatura narrativa si regge su un tono trasognato, l’unico attraverso il quale poter effettivamente mettere nero su bianco una trama del genere, tanto da alterare la percezione della realtà che è avviluppata da un’impalpabile aura di ansiogeno mistero.
Strega è, infatti, un luogo significativo, un paese sospeso sul crinale del sogno dove reale e irreale si mescolano in un gioco di luci, ombre, colori e sapori e l’Hotel Olympic diventa un microcosmo fortemente immaginifico.
Una narrazione contenuta in una dimensione temporale statica che procede per allegorie e – a causa di ciò – qualche volta risulta disorientante. Per la maggior parte del tempo, il lettore vaga alla ricerca di indizi interpretativi, ma solo arrivati all’epilogo si ha la consapevolezza di essersi trovati dinanzi a una storia ipertestuale che lascia con più domande che risposte.
È un libro singolare, non è così semplice addentrarcisi, eppure, superato il cosiddetto “giro di boa”, ti avvince tra le sue spire e non riesci a metterlo giù.


Passatemi il gioco di parole, è un romanzo “stregonesco” dove il ritmo langue a favore di una penna raffinata, arcaicizzante e flemmatica per dar vita a una lunga riflessione che spalanca abissi e sperdimenti.
Un gotico struggente e sottilmente profano, ma soprattutto etereo dato da una nebbiosa presenza di cui mai avremo certezza. Ricco di riferimenti letterari, un paragrafo in particolare mi ha ricordato Sylvia Plath e la sua celeberrima campana di vetro e, per altri aspetti, mi ha fatto pensare a “Le vergini suicide” di Jeffrey Eugenides.
Attualmente è nella rosa dei candidati al Premio Strega Europeo 2023, ma ha tutte le carte in regola per vincerlo.
L’edizione italiana presenta un piccolo extra, al termine del libro, la casa editrice suggerisce degli spunti di discussione su quanto letto perché quando un romanzo funziona, non smette di esercitare la sua influenza girata l’ultima pagina, ma anzi è bello arrovellarsi e interrogarsi in solitaria o, perché no, dar vita a un vero e proprio dibattito in un gruppo di lettura. Trovo sia un valore aggiunto, una “coccola” per il lettore.
E una delle domande proposte lì, la rivolgo a voi: pensate che nelle donne ci siano forme di sottomissione interiorizzate?

Elisa R

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