Un passo nell’editoria

Si dice che ogni persona abbia una storia da raccontare. Forse è vero e, a giudicare dai dati rilasciati ogni anno dall’Associazione Italiana Editori. Ogni anno in Italia vengono pubblicati tra gli ottantamila e i novantamila (80.000 – 90.000) nuovi libri, per un totale grossolano di circa novantacinque milioni di copie vendute all’anno.

Se le cose stanno così, perché molte e molti aspiranti autori dopo un primo passo rinunciano?

Le ragioni sono molte spesso distanti tra loro.

C’è chi, dopo aver detto tutto ciò che aveva dentro, non trova più la voglia di raccontare altro.

C’è chi si è lanciato nel mondo della scrittura per appagare il bisogno di fama o di celebrità e al primo fallimento capisce che non è la strada giusta per raggiungere l’obbiettivo.

C’è anche chi, pur avendo molto da dire, non ha i mezzi tecnici per farlo o la voglia di investire tempo in un’avventura spesso non remunerativa.

Questi sono alcuni dei motivi, personali, che portano un’aspirante ad abbandonare l’idea dopo un primo timido passo. Scelte dettate da una consapevolezza interiore che però, in molti casi, non ha nulla a che vedere con le difficoltà affrontate da chi vorrebbe proseguire il proprio cammino editoriale.

Il mercato editoriale italiano è piccolo, incostante e spesso inquinato da liti e mode che tendono a saturare la domanda da parte del pubblico.

In Italia si legge poco, pochissimo, e non c’è spazio per dare a ogni aspirante autrice o autore una possibilità. Le librerie sono stracariche di testi non lette e le case editrici, in quanto aziende, devono guadagnare dai libri che pubblicano e perciò propongono quello che la gente vuole (o che forse rappresenta l’investimento meno rischioso).

Ovvero?

Libri tradotti e gestiti con un semplice calcolo matematico. Se un tal libro in un tal paese vende 100.000 copie, considerando la media di lettura di quel paese, basta rapportare il conto all’Italia e l’editore sa già più o meno che tiratura aspettarsi.

I generi con più appeal sul mercato. Tendenzialmente in Italia i generi più letti sono i polizieschi, nelle varie declinazioni thriller-gialli-noire etc…, i romanzi d’amore o romance e i romanzi storici. A questi si aggregano i generi figli delle mode del momento, trascinati da qualche film o serie che sta spopolando.

I libri degli influencer, youtuber, calciatori etc… che hanno una fanbase alta e che, tramite i loro contenuti, riescono a fare abbastanza pubblicità da giustificare l’investimento fatto dall’editore.

Triste? Ingiusto?

Forse sì, ma visto che gli editori non sono mecenati o benefattori, per pagare le bollette a fine mese hanno bisogno di guadagnare. E per farlo hanno bisogno di vendere ciò che il pubblico vuole.

Ovviamente ci sono delle eccezioni e dei fari che risplendono nella notte. Ci sono generi letterari di nicchia ma con un pubblico forte, così come ci sono decine di piccoli editori che ancora credono nel potere della scrittura e nella forza di storie non convenzionali. Ma sono eccezzioni, sono quei piccoli editori che vedete alle fiere letterarie con un banchetto semplice e due appassionati seduti dietro una pila di libri in attesa di poter condividere il loro amore con qualcuno.

E quindi?

Scrivere non è un hobby e nemmeno uno sfizio per appagare il proprio ego. Se si decide di scrivere per pubblicare bisogna avere un approccio professionale. Non basta avere un’idea e il tempo di narrarla. Serve la capacità di narrarla, bisogna conoscere il mercato e avere la consapevolezza di dove si può arrivare (escludendo le botte di fortuna stile SuperEnalotto).

Bisogna smettere di credere di essere nati imparati, tutto ciò che una persona sa fare l’ha imparato da qualcuno e poi ha fatto pratica. Così come bisogna smettere di credere che il mondo sia in attesa del prossimo genio. Da piccoli volevate fare i calciatori, vi sentivate bravi e papà vedeva in voi il prossimo Ronaldo. E cosa avete fatto? Avete pagato scuole calcio, avete fatto anni di pratica, avete superato fallimenti, avete fatto dozzine di provini e avete dovuto imparare a giocare come vi diceva l’allenatore e non come vi suggeriva il vostro estro. Vero? E poi siete diventati tutti Ronaldo?

Ecco, per la scrittura è la stessa cosa.

Quando si scrive lo si fa per farsi leggere e capire dal maggior numero di persone possibli, e questa è la prima regola da imparare. Che non vuol dire piacere a tutti. L’eccesso di ego traspare dalle pagine come una macchia di colore, così come chi cerca di usare un linguaggio complesso solo per atteggiarsi a grande mente letterata.

Il mondo dell’editoria è difficile, c’è poco spazio e troppi pesci che nuotano nello stesso stagno. Ma non per questo, se si ha un po’ di consapevolezza, non lo si può definire non meritocratico. Volete proporre un fantasy con sfumature distopiche e cyberpunk, di un milione di battute e una trama che è un misto tra la Pimpa e Hokuto No Ken? Certo potete farlo, ma prima di dire che gli editori sono delle merde e che nessuno vi capisce chiedetevi (onestamente) quanti libri del genere avete visto sugli scaffali delle librerie. Volete pubblicare con Sellerio? Bene… ma prima vi converrebbe leggere (e non solo guardare sul sito, sempre ammesso che lo facciate) che libri pubblicano: se gli mandate un manoscritto su dinosauri mutanti che fanno sesso con le donne umane probabilmente Sellerio non ve lo pubblicherà.

Non sto difendendo quei cattivoni delle case editrici ma, prima di accusare qualcuno, bisogna avere tre volte ragione. Bisogna essere consapevoli dei propri limiti, bisogna aver fatto tutto il possibile per acquisire professionalità e bisogna conoscere il mercato di riferimento.

Cosa che spesso non avviene e che porta molti aspiranti a rinunciare dopo un primo, fallimentare, tentativo.

A presto.

Delos

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