Recensione Il pozzo vale più del tempo di Ginevra Lamberti

Il pozzo vale più del tempo di Ginevra Lamberti è uscito per Marsilio Editore a febbraio 2024.

Ma la notizia che mi ha fatto saltare sulla sedia è che Ginevra Lamberti ha scritto un eco-distopia! Quando ho letto la trama del suo nuovo libro non potevo crederci: Il pozzo vale più del tempo è ambientato nel futuro in un Veneto imprecisato ma che se conosci lei e se sei veneta dalle sue parti (come me) lo capisci subito dov’è Valle Scura…

Il pozzo vale più del tempo

Trama Il pozzo vale più del tempo

Siamo, appunto, a Valle Scura, la temperatura oscilla tra i 50 e i 56 gradi. L’umanità è regredita a causa del caldo, della siccità, forse anche di qualche guerra, non si sa. Quello che è sicuro è che manca l’acqua, che le persone rimaste sono poche e lottano ogni giorno per sopravvivere.

Dalia, otto anni, dopo un incidente passa molti giorni in un ospedale che non è un ospedale perché il mondo non è più il mondo; viene dimessa, torna a casa, la casa è vuota, probabilmente tutti sono morti.

Dalia, nei giorni di ricovero, conosce due bambini che hanno avuto pure loro un incidente: il bambino soporoso che non può parlare e Morena, che non si muove bene, ma riesce a scrivere.

Uscita dall’ospedale, di quei bambini, Dalia per molto tempo non saprà niente. Senza famiglia, senza soldi e senza casa, Dalia viene accolta dalla vecchia Fioranna, che ha fatto la maestra, sa insegnare e sa difendersi. Fioranna insegna a Dalia due cose: che il mondo così come gli esseri umani l’hanno conosciuto esiste ancora ma è nascosto sulle montagne, e come seppellire un corpo.

Così Dalia, dalla valle tiranneggiata dalla famiglia Boscarato, i padroni di sempre – perché il mondo non è più lo stesso, ma chi è padrone tale rimane –, ascende alla montagna e arriva al Villaggio dei Pozzi.

Sapendo come accudire e come seppellire, Dalia sa come trattare i corpi vivi e morti, anche quelli non umani. È così che diventa l’assistente del macellaio Biagio e la dama di compagnia dell’eccentrica Orsola.

Se in ospedale, da bambina, i compagni di Dalia erano il bambino soporoso e la bambina con la penna, nella sua età matura sono proprio loro: Biagio, il macellaio burbero perseguitato da una gatta bianca, e Orsola, la donna delle storie, che vive da sola in un albergo dismesso dove, come ormai ovunque, si è consumato un delitto.

Recensione Il pozzo vale più del tempo

Premetto subito due cose: lo stile di Ginevra Lamberti non è convenzionale.

 Ti travolge con i suoi personaggi che finiscono per starti accanto anche quando chiudi il libro. Dalia è qui con me anche ora, che è passato un po’ da quando ho letto la parola fine.

Spesso i punti di vista si confondono e se all’inizio questo mi irritava, andando avanti non solo mi sono abituata ma credo di aver capito il perché.

Nella foresta è la foresta a vedere. Nella valle è la valle a vedere. Il mondo sta lì a dirci: siete sempre i soliti idioti anche adesso che è palese che la responsabilità di questo disastro è solo vostra e continuate a commettere gli stessi identici errori!

Secondo: avete presente quella storia dell’utopia? Dimenticatela, qui non c’è. O meglio, questo romanzo è un percorso ciclico della storia che, come pochi altri, ci apre gli occhi sulla finitezza della vita umana, degli animali, delle risorse.

Dalia nel suo viaggio da Valle Scura al Villagio dei Pozzi, cresce e continua a farlo quando trova un senso al suo talento e pace ai suoi tormenti.

Il problema è che il male non si è estinto con l’apocalisse, anzi si rinsalda e si fa potente e l’unica luce che ci fa vedere Ginevra, lì in fondo al pozzo, è quella della forza di chi vuole invertire questa tendenza. Dalia in primis ma anche la sua maestra Fioranna, Orsola e altre figure che lei incontra diventando grande.

«Siamo state bene insieme.» 
«Quello è per sempre.»
«Anche il male è per sempre?»
«Scontorna il male, contorna il bene. È un esercizio di volontà.»

Ginevra Lamberti dipinge il Veneto con toni crudeli e stranieri, descrivendolo come un luogo dominato da fitte foreste, valli arse dalla siccità, piloni delle autostrade sospesi nel nulla e ricoperti di sterpaglia insecchita.

“Erica resta nei pressi dei letti e continua a guardare fuori. Guarda il prato arido dove un milione di anni prima crescevano distese di margherite, papaveri e fiordalisi. Nell’immobilità dell’aria un alito di vento solleva nuvole di terra sottile come sabbia. Erica osserva il pozzo in mezzo al campo brullo e non ricorda da quanto tempo non immagina il futuro. Pensa che la malinconia è nata dentro un buco come quello. Uscita dal pozzo ha fatto molta strada, fino a strisciare nella stanza dei bambini.”

La sua popolazione è ritratta come un insieme disgregato di individui affamati e condizionati da pregiudizi ancestrali.

Vi è però anche una idea di famiglia slegata dai legami di sangue: famiglie inventate, famiglie d’affetto e non biologiche.

Famiglie “necessarie” alle quali aggrapparsi per salvarsi perché la vita è ancora, come sempre è stato, in balia di uomini potenti che hanno a cuore solo il mantenimento dei propri privilegi. Il passato, le tradizioni e le cupe superstizioni dominano e nuovamente inghiottono l’innocenza dell’infanzia.

«Tua zia era molto saggia.»
«Non era davvero mia zia.»
«Tu pensavi che lo fosse?»
«Sì.»
«Lei pensava di esserlo?»
«Sì.»
«Allora era tua zia.»

Il pozzo vale più del tempo è quindi una favola oscura, dove la violenza e il sopruso emergono con una crudeltà angosciante.

Non posso dirvi se c’è, da qualche parte verso la fine, qualche barlume di speranza, per scoprirlo dovete per forza farvi inghiottire insieme a Dalia dall’orrore, precipitare nel pozzo e poi chissà…

“Ai bambini, per metterli in guardia, non era stato insegnato che cadere in un pozzo voleva dire morire, perché i bambini la morte la potevano imparare ma in loro c’era troppa vita per poter credere alla propria; ai bambini era stato insegnato che cadere in un pozzo voleva dire cadere in un buco dove sarebbero stati soli per sempre, perché i bambini capiscono la solitudine”

Ginevra scrive, nelle note finali del libro: “La parabola di Dalia è inevitabile perché il fallimento di una società che ha abdicato a sé stessa (alla sanità e all’istruzione per tutti, allo stato sociale, alla stessa cura del pianeta) ha conseguenze fatali che si ripercuotono su deboli e incolpevoli”.

Questo è un romanzo che è molto lontano dalla perfezione, che a volte si attorciglia su sé stesso come la storia che racconta, la scrittura segue il racconto di tanti mondi inventati, ma non del tutto, futuri, ma non del tutto, passati, ma non del tutto, dentro un pezzo di Veneto.

E non credo esista un modo migliore di questo di narrarlo. 

Debora Donadel

Il pozzo vale più del tempo, Ginevra Lamberti, Marsilio Editore, 272 pagine, febbraio 2024.

P.S. Sono dalle sue parti, l’ho detto, vero? E allora lascio qualche foto dei luoghi che credo di aver riconosicuto. Per fortuna sono tutti luoghi ancora “vivibili” e non trasfigurati dal futuro immaginato, e purtroppo molto plausibile, da Ginevra Lamberti…

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