Recensione: “La muta” di A. Whiteley.

TRAMA:

Immaginate un mondo in cui si cambia pelle ogni sette anni, e con la pelle vengono via i ricordi, le sensazioni, gli amori. Se c’è chi brama il cambiamento, c’è chi invece vuole tenersi stretto il passato e l’identità che gli appartiene. Ora questo è possibile con un nuovo farmaco, il Suscutin, che previene la muta e permette di mantenere la propria pelle. Rose Allington, di professione guardia del corpo, soffre di una malattia rara. Le mute per lei arrivano improvvise, stravolgendo completamente la sua vita, eppure ha dovuto farci l’abitudine. Invece il suo ex amante e datore di lavoro, il celebre attore Max Black, ha una dipendenza dal Suscutin: sa che la muta potrebbe fargli perdere tutto. E quando una delle sue pelli viene rubata dalla preziosa collezione che custodisce gelosamente, per risolvere il caso ingaggia la migliore, Rose, anche se ormai non è più la stessa donna. Tra salti temporali, visioni ardite, colpi di scena, un thriller coinvolgente che è anche una riflessione sull’amore: quanto si insinua dentro di noi, quanto è parte integrante della nostra vita? E una volta perso, si può riaverlo indietro? Un romanzo spiazzante, visionario, che ridefinisce il concetto di fantascienza e si fa specchio di una nuova generazione.

RECENSIONE:

Leggere dell’uscita di un nuovo libro di Aliya Whiteley – merito della Carbonio Editore che spero continuerà a portare la sua produzione in Italia – mi mette sempre di buon umore, so già che mi aspetta una storia totalmente diversa dalla precedente, espressione della poliedricità stilistica dell’autrice.


Con “The loosening skin” (pubblicato per la prima volta nel 2018) infatti si avventura sul genere mistery, ma contaminandolo con le sue peculiarissime atmosfere fantascientifiche e viranti al new-weird.


È il suo terzo romanzo che mi trovo a leggere e sembra quasi che il leitmotiv di ognuno di essi sia il corpo ma declinato in diverse configurazioni: se in “La bellezza” assumeva contorni fungini e orrorifici e in “L’arrivo delle missive” seguivamo il percorso di crescita – a partire dall’età pre-adolescenziale – della protagonista, con “La muta” – titolo scelto per l’edizione italiana e su traduzione di Olimpia Ellero – si sale ancor più di livello poiché ad esser posta al centro è la pelle in quanto tale…
In tutto questo spicca la nostra protagonista: Rose Allington, dalla personalità dirompente e tranchant, che dovrà continuamente barcamenarsi fra gli strascichi devastanti, tanto a livello emotivo quanto a livello fisico, di una rara malattia di cui è affetta e la decisione di intraprendere un’indagine, sulla base di una manciata di indizi, cercando di ricomporre i tasselli di quello che fin da subito si rivela non essere un normale furto.


È un romanzo insolito costruito come un meccanismo a orologeria denso di confessioni, inimicizie e drammaticità.
Il setting designato è il mondo come lo conosciamo oggi, ma con una particolarità inquietante: all’incirca ogni sette anni gli esseri umani mutano pelle e in essa lasciano i ricordi collegati all’eventuale relazione di quel periodo. Tuttavia le pelli preservano i ricordi della persona e già al semplice solo tocco essi vengono rievocati, eppure tutti (o quasi) scelgono di bruciarle e semplicemente andare avanti. Il “quasi” di cui parlo riguarda una percentuale di consumatori che scelgono volontariamente di sottoporsi a un trattamento farmacologico che va ad ostacolare la muta e che permette loro di preservare la relazione con la persona amata.

I serpenti fanno la muta quando lo strato che li ricopre comincia a stargli “stretto” e allora lo rigettano e lo sostituiscono con una pelle più adatta alla nuova fisicità, ma se la stessa prerogativa appartenesse all’uomo? In questa nuova fatica letteraria viene messo nero su bianco. Mutare pelle diventa per l’essere umano un vero e proprio cambio di identità, scoprirsi diversi, rinnovarsi e gettarsi a capofitto in una nuova esistenza; via la pelle “vecchia” e cancellato con un colpo di spugna anche l’amore legato a quella pelle.

“[…] Prima indossiamo, e poi di dosso ci strappiamo, noi stessi. Più e più volte cambiamo. Quant’è strano, ciò che diventiamo, e ciò che buttiamo. […]”

Un fanta-thriller di graduale tensione, ma al cui interno viene altresì tratteggiata una dualità di amore e disamore che viene fuori utilizzando l’espediente narrativo del flashforward poiché il romanzo si sviluppa in un arco temporale che spazia dal 1986 al 2022 e grazie all’alternarsi di prima persona e narratore esterno questa sequenzialità risulta ancora più efficace.
Non li considero dei veri e propri difetti, ma visto che i gusti letterari sono MOLTO soggettivi vi anticipo che l’ambientazione non è approfondita; ciò che ci è dato sapere è visto con gli occhi e le esperienze dei personaggi e la presenza di questi repentini salti temporali potrebbero scombussolare e confondere un lettore poco avvezzo alla loro presenza.


Aliya Whiteley manipola la realtà come pongo, gioca con essa e la plasma a suo piacimento tirando fuori un modo del tutto nuovo di narrare i rapporti umani quasi a volerci insegnare a tendere l’orecchio e ascoltare davvero noi stessi. Servendosi di una prosa tagliente ci racconta in maniera trascinante la potenzialità simbolica del concetto di amore, un amore che ottunde i sensi e ottenebra le menti, parla di quei rapporti umani confusi e dove talvolta gli errori sono decisivi e trattenere a ogni costo una relazione destinata a finire è controproducente anche per la salute. Alimentate da questa visione distorta data dall’impronta fantascientifica l’autrice offre riflessioni che possono essere contestualizzate nel quotidiano.

Consigliato!

Elisa R

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