Recensione Filio non è a casa di Berta Bojetu

TRAMA DI FILIO NON E’ A CASA

In un’isola remota e dalla natura insolita uomini e donne vivono separati, ma i primi esercitano il loro dominio sulle seconde con la violenza. Tutti però sono sottomessi alle regole infami di un proprietario senza nome che risiede sulla terraferma. In questa realtà è cresciuta Filio, insieme alla nonna Helena e al giovane Uri: le tre voci alle quali Berta Bojetu affida il racconto di un inquietante altrove dominato dall’istinto di sopravvivenza e da sentimenti che non vanno oltre la paura, l’odio e il sospetto nei confronti del prossimo. Un’opera di sconvolgente crudezza in cui i protagonisti cercano di reagire alla progettata distruzione della loro individualità con forza vitale e creativa.

RECENSIONE DI FILIO NON E’ A CASA

Popolo fantastopico, oramai avrete imparato a conoscere i miei gusti letterari e questo romanzo aveva tutti i requisiti necessari per rientrare nelle mie corde.
Berta Bojetu è una scrittrice slovena venuta a mancare nel 1997, Filio non è casa (Filio ni doma) viene pubblicato per la prima volta nel 1990 e nel 1995 conquista il premio Kresnik – uno dei premi letterari più importanti della Slovenia – ma giunge in Italia solo ora grazie a Voland, corredato dall’illuminante postfazione di Patrizia Raveggi che si è occupata anche della traduzione del testo.

Quello che ci viene presentato è un microcosmo svuotato di senso i cui abitanti sembrano induriti e chiusi in se stessi; uomini e donne abitano disgiuntamente i due versanti dell’isola e tutto è accentrato nelle mani del Comandante che punisce in maniera brutale ogni insubordinazione, creando i presupposti per cui principalmente le donne non abbiano alcun potere decisionale tanto da legittimare quello che – a tutti gli effetti – è stupro pianificato al dettaglio.

“Mi ero trasferita nel mondo dello stupro perpetrato come segno di potere e vi ero rimasta. Non avevo opposto resistenza. E probabilmente neppure me ne andrò.”

Non c’è dato sapere in che tempo ci troviamo né dove nello specifico, unica informazione in nostro possesso è che il dramma si svolge su un’isola con tutto ciò che ne consegue. A partire dall’isolamento concreto e dalla forte atmosfera di atemporalità che vi si respira.
“Filio non è casa” è un racconto corale a tre voci; tre visioni da un’angolazione differente – non solo come testimoni ma talvolta da parte attiva – che hanno una strana unione d’intenti e di constatazioni scorrette con i tempi in cui viviamo, quelli in cui l’umanità è sempre più feroce, guardinga e spietata.
Il finale non è un finale assoluto, ma non per questo foriero di un seguito.

Berta Bojetu con una scrittura densa e usando la narrazione in prima persona – per articolare una sorta di flusso di coscienza – riesce a farci entrare nella testa di questi tre personaggi portandone alla luce i pensieri più reconditi, le loro inquietudini e speranze sopite; sono diversi tra loro ma ad accomunarli vi è uno stato d’animo irrequieto.
È un libro controverso, non saprei come altro definirlo, non so neppure se l’autrice abbia scelto deliberatamente di scrivere una distopia, fatto sta che condivide con i grandi capisaldi del genere alcuni elementi, in primis un sistema politico liberticida che regola non solo il codice di abbigliamento – infatti indossano più o meno tutti la stessa tipologia di vestiti – ma va a fomentare la delazione, le pene per chi infrange i dettami del governo sono dure e permettono di stroncare sul nascere qualsivoglia tentativo di dissenso.


È un romanzo lacerante e inclemente sulle forze che muovono l’uomo, un testo che del crudo realismo fa il suo manifesto in particolare per il modo per niente patinato di trattare la violenza in ogni sfaccettatura; i personaggi che popolano quest’ambiente circoscritto trasmettono un’impressione non proprio positiva.
Si approcciano a questa vita alienata perché non conoscono nient’altro, immersi fino al collo in un clima asfittico di terrore, sodalizi e rivalità. Non saprei dirvi se siano consci o meno della loro condizione, ma talvolta si ha la sensazione che si aggrappino a disumani sentimenti.

Un’opera abissale e anti-manichea nell’esplorare temi profondi quali la sopravvivenza, la dignità dell’essere umano, la ristrettezza di vedute in entrambi i fronti a causa di un’istruzione deliberatamente inibita, viene indagata in modo trasversale anche l’educazione sentimentale di queste donne irrisolte e il ruolo subordinato in cui vengono ingabbiate.
Un piccolo gioiello letterario che vi spezzerà il cuore poiché disseziona il dolore e la paura andando dritta al punto con una lingua sfrontata che porta in risalto un’etica che sta scomparendo.

PS: Se siete lettori sensibili a temi come violenza sessuale, torture psicologiche e fisiche vi invito a tenerne conto prima di intraprendere la lettura di questo libro.

Elisa R

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *