Recensione Uomini come dei di H. G. Wells

Scritto e pubblicato nel 1923, il romanzo Uomini e dei appartiene alla fase più matura dell’opera di H. G. Wells, quella nella quale lo scrittore fa virare l’impianto della fantascienza verso una riflessione politica e filosofica che ha per centro le sue personali aspirazioni di militante socialista, anche se sempre piuttosto critico.

TRAMA DI UOMINI COME DEI

Le linee generali della trama sono semplici: un gruppo di persone che stanno viaggiando in automobile si trova per caso, in realtà per un esperimento mal riuscito, in un altro mondo. È il mondo di Utopia.
Ha inizio così una lunga descrizione, talvolta un po’ didascalica, di questa realtà alternativa. Si capisce trattarsi di una società molto simile a quella “terrestre” cioè del mondo di appartenenza del protagonista, ma che ha seguito una linea di sviluppo diversa ispirata sostanzialmente a un socialismo liberale anticapitalistico e antibolscevico. È un società nella quale si effettua un rigido controllo delle nascite in funzione delle risorse disponibili, che riconosce l’insegnamento di Cristo senza però una vera e propria chiesa, una società ispirata alla cooperazione e al bene comune ma che non ha avuto bisogno di una rivoluzione per realizzarsi bensì di una “illuminazione generale”; è uno stato scientifico universale o stato educativo perché l’educazione, il sapere, la conoscenza, hanno un ruolo assolutamente centrale; anche educazione alla gentilezza, all’aiuto, alla immaginazione.

RECENSIONE DI UOMINI COME DEI

Tutto ciò rende inutile la polizia quanto la politica: “La nostra educazione è il nostro governo.” Afferma un utopiano. Non c’è infatti un potere centrale ma ci si affida alla sapienza e alla competenza delle persone più in vista. Dall’altra parte i terrestri che si ritrovano in questo altro mondo sono i rappresentanti delle categorie umane che Wells disprezza di più: il prete bigotto, il politico conservatore, l’esteta con il monocolo, l’affarista americano, il francese sciovinista. Servono a mostrare al lettore gli ostacoli che la nostra società incontra per realizzare una simile utopia. Ciò che è particolarmente interessante è che la nuova condizione umana del mondo di Utopia finisce per modificare la natura stessa: gli utopiani infatti hanno estirpato le specie animali nocive, per esempio certi insetti noiosi, ma anche virus batteri, parassiti, e gli esseri umani vivono in una condizione di pace, di tranquillità di armonia universale. Tanto che l’autore riflette sul fatto che l’assenza di conflitto sia effettivamente compensata dallo stigma che subiscono gli oziosi e i vili. Compensazione necessaria per evitare la degenerazione della società.


Tuttavia in questo clima perfettamente ordinato, il gruppetto dei terrestri porta il disordine: essi infatti involontariamente causano delle epidemie perché sono portatori di virus cui gli utopiani non sono più abituati. Per questo i terrestri vengono isolati. Si determina allora uno scontro in cui i terrestri fanno emergere tutto lo spirito imperialistico, sognano infatti di impossessarsi del regno di Utopia con le armi. L’iniziativa non riesce, e il protagonista, il signor Barnstaple giornalista di professione, si distacca dai terrestri perché è l’unico che approva incondizionatamente il nuovo mondo.
Il romanzo si conclude con il protagonista che viene rispedito nel suo mondo d’origine, e qui può solo ricordare tutto quello che ha visto e darsi da fare perché la società possa realizzare il sogno di un mondo nuovo ispirato all’utopia di cui ha fatto esperienza.

Nonostante alcune parti molto descrittive e di impianto sociologico più che narrativo, devo confessare che il libro mi ha affascinato dall’inizio alla fine perché l’autore ha saputo mettere la fantascienza al servizio di una riflessione che oggi ha valore storico e documentale. La rappresentazione dell’uomo nuovo, il sogno di molte aspirazioni politiche progressiste del ‘900, con tutta la sua ingenuità, resta un’immagine davvero commovente.

STEFANO ZAMPIERI


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