RECENSIONE “La Bellezza” di Aliya Whiteley

Trama: Un gruppo di uomini vive isolato dal resto del mondo in una comunità rurale, nell’incontaminata Valle delle Rocce. Sono rimasti soli: le donne sono scomparse dalla faccia della terra, estinte da un male aggressivo che ha scelto come unico obiettivo da colpire proprio loro. Agli uomini non resta che radunarsi ogni sera davanti a un falò, dove raccontarsi storie su quelle che un tempo erano le loro madri, mogli e sorelle, quasi trasfigurandole in un mito. Ma un giorno qualcosa di inquietante accade nella Valle delle Rocce. Degli esseri stanno prendendo vita da strani funghi nel cimitero e nei boschi circostanti. Sono creature misteriose provenienti da memorie femminili, destinate a cambiare per sempre la vita della comunità.

Recensione:

Succede sempre così, leggere libri distopici mi trasmette strane sensazioni, da un lato ci si sente rincuorati… Queste storie sono solo frutto di una fantasia portata all’estremo, ma poi piano piano cresce quella consapevolezza che la società che vi viene descritta non è poi così lontana, tanti di quegli spunti hanno origine proprio dai giorni nostri. Girata l’ultima pagina, lo stato d’animo in cui piombo non è dei migliori eppure nutro la masochistica convinzione di non poter fare a meno di cimentarmici.
Oggi il libro ad essere oggetto di disamina è “La bellezza”, colgo l’occasione per ringraziare la casa editrice Carbonio Editore per avermi concesso la possibilità di leggerlo e recensirlo per voi.
La quarta di copertina è molto esauriente circa il contenuto di questo breve romanzo, pertanto vi invito a leggerla con la certezza che stuzzicherà il vostro interesse, così com’è successo a me.
Il concetto di base è questo: in un villaggio ai confini del mondo, a causa di un morbo inspiegabile, la popolazione ha perso la sua controparte femminile. I pochi uomini rimasti si trovano giocoforza a dover ricominciare da zero, con la spiacevole consapevolezza di essere condannati all’estinzione, quando sulle tombe – dove giacciono i corpi delle donne scomparse – e nei boschi circostanti si manifesta un insalubre e giallognolo fungo…

Il bosco pullula ancora soltanto di uccelli e animali? Oppure nuovi occhi, nuove creature sono nate nel lasso di tempo in cui le donne sono state spazzate via dalla faccia della terra?

Fin da subito ci troviamo avviluppati da atmosfere surrealiste che lasciano trapelare le inquietudini e le insicurezze di quel pugno di uomini sopravvissuti.
La copertina così fumosa – che sembra quasi ottundere i sensi – ci dà un indizio su uno dei generi di appartenenza ossia il realismo magico datoci anche dall’ambientazione – la Valle delle Rocce – immaginifica e silvana, dai chiari rimandi a paesaggi di stampo vulcanico. Un microcosmo distopico del quale il cuore pulsante diventa l’identità di genere intesa come una vera e propria transizione.
Servendosi di una prosa ipnotica e ritmica, artefice di istantanee chiaroscurate, l’autrice ci fa entrare in relazione con personaggi aventi luci e ombre; scava in profondità nelle tenebre dei rapporti umani, facendo leva sulle debolezze insite nella condizione antropica, e non ci risparmia contenuti forti e disturbanti.
La narrazione in prima persona, da parte di Nathan, una sorta di moderno “cantastorie”, ci dà modo di testare un’autentica immersione nella sua testa; i conflitti interiori del protagonista diventano i nostri, volenti o nolenti, dobbiamo accettare le sue decisioni e vivere i suoi turbamenti. Il ruolo che ricopre all’interno della comunità è meritato, sa sfruttare al meglio la duttilità delle parole per infondere emozioni in chi lo ascolta ed è per questo che, più volte, mi sono chiesta se fosse un io narrante attendibile.
Pur trattandosi di un libro breve, vi è descritto un arco temporale di alcuni anni, una fugace incursione per abbracciare una panoramica più ampia degli eventi. Ecco, l’unico neo che ho riscontrato è che avrei gradito maggiori dettagli sul come si è arrivati a ciò e non limitandosi a concentrarsi soltanto su questa comunità, ma anche su come gli effetti del fenomeno si siano estesi a livello globale.
Un romanzo che non abbraccia un unico genere, ma ne combina diversi in maniera stupefacente: new weird, realismo magico, distopia e un pizzico di horror.
La componente inedita è data dalla presenza di queste creature fungine dalle voluttuose sembianze antropomorfe ed è lodevole come Aliya sia riuscita a destreggiarsi con qualcosa di mai sperimentato prima, affascinando e inquietando allo stesso tempo.
La Whiteley in poco più di 140 pagine è riuscita a condensare un messaggio importante sullo spirito di accettazione del diverso e la lotta agli stereotipi e ai pregiudizi, non ergendosi a moralista o ammonendo la società con toni accusatori, ma tenendo aperta una linea di comunicazione con il lettore attraverso questo stile così immediato.
I leitmotiv portanti sono molti e i più disparati, si parla dell’autenticità dei rapporti emotivi di contro alla sete di potere che logora la fiducia, amori omoerotici e la transessualità; la diatriba tra uomo e natura perché in essa spesso scorgiamo solo gli aspetti positivi e prendiamo sottogamba una sua possibile rivalsa e tanto altro ancora.
L’autrice ama molto giocare con due concetti praticamente all’antitesi “orrore” e “bellezza”. La figura della donna assume una connotazione di rassicurante “porto sicuro” soprattutto perché vi è un serio capovolgimento dei ruoli, altro che sesso debole! Sono gli uomini ad essere pieni di insicurezze.
La dicotomia tra diversi elementi spicca ma è degno di menzione – ciò si nota soprattutto all’inizio – anche l’aspetto salvifico della parola che ammanta d’interiorità e significato quel corollario di storie, la cui funzione è suscitare il ricordo in chi resta e tramandarlo alle generazioni future impiantando una sorta di memoria “collettiva”.

Perché, davanti a tanta sofferenza, le storie sono così importanti?

Ad una lettura superficiale il tutto sembrerà aleatorio e sibillino, ma se presterete la giusta attenzione noterete anche i temi “sotterranei” ma ugualmente importarti come l’istinto di sopravvivenza e l’ineluttabilità della morte. Pur avendo la consapevolezza di trovarmi di fronte ad un romanzo, non sono riuscita a frenare un vero e proprio tumulto di sentimenti, primo fra tutti una crescente e profonda amarezza.
La bellezza” è per chi ama proiettarsi in mondi grotteschi e allucinati.

Elisa R

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