Mi sono approcciata con curiosità a Il viaggio di Jonathan di Luca Bertossi uscito nella collana Dystopica di Delos Digital.
Un po’ perché la collana mi è cara e non ha mai deluso le mie aspettative e un po’ perché avevo incrociato spesso notizie interessanti sulle attività di videomaker di questo giovane autore friulano (immagino per la vicinanza geografica e la comunanza di diversi amici della zona).
Com’è andata? Eh… partiamo dall’inizio.
Trama Il viaggio di Jonathan
Il mondo è in ginocchio. Un’invasione aliena, lenta e senza esplosioni, ha distrutto la civiltà trasformando le persone in esseri dissennati. Gli Estranei sono esseri intangibili, globi di luce che a contatto con gli esseri umani li trasformano in creature simili a zombie. Mostri sanguinari che, giorno dopo giorno, hanno fatto cadere ogni forma di civiltà.
Jonathan, ormai solo e senza nessuno che lo aiuti, intraprende un lungo viaggio alla ricerca del fratello scomparso. Una marcia attraverso un’America selvaggia, seguendo il faro di un messaggio radiofonico che invita i sopravvissuti a riunirsi per fare fronte comune contro i mostri.
Recensione Il viaggio di Jonathan
Ok, la trama non è originalissima, ma ci sono diversi elementi che mi hanno piacevolmente sorpreso e ho intuito l’epicità che l’autore avrebbe voluto dare al viaggio di questo giovane ragazzo.
Ma… sì, lo avete sentito il ma che stava arrivando in quel “avrebbe”, vero? Beh, per la prima volta sono stata davvero indecisa se scrivere o meno questa recensione; perché mi dispiace sempre giudicare negativamente il lavoro di una persona che ci ha messo cuore e impegno.
Eppure credo sia anche necessario essere onesti: non tutto quello che leggiamo ci piace ed è giusto spiegare il perché.
Gli aspetti positivi
Partiamo però dalle cose positive. Gli alieni non sono mostri con tre teste o gamberoni giganti alla District 9, sono invece:
"Esseri sfarfallanti a forma di sfera di luce bianca che fluttuano a mezzaria e vagano alla ricerca di vittime per poter vivere."
Un po’ più chiché , stile zombie sono invece quelli che Jonathan chiama i Posseduti:
"Gli Estranei si impadronivano del corpo degli umani rimasti e, espellendo l'essere che lo occcupava, trasformavano il cadavere in una sorta di morto vivente. Non appena incontrava un essere vivente, il corpo posseduto si risvegliava dal lungo riposo e, come impazzito, inseguiva la vittima muovendosi urlando versi incomprensibili".
Mi è piaciuto anche che non ci sia una logica, né tantomeno uno sfondo politico, ma semplicemente un arrendersi all’ineluttabile quasi a sottolineare che siamo solo dei puntini infinitamente piccoli alla mercé di quello che può arrivare dall’universo sottointendendo, credo, che tutto l’odio che disseminiamo in giro sia insensato e inutile.
Odio e violenza che non vengono lasciati da parte, anzi, nell’apocalisse in corso. Gran parte dei sopravvissuti, continua a dare il peggio di sé invece di unirsi per trovare una soluzione. E il peggio comprende anche un elemento che mi ha lasciato di stucco ma che non posso rivelare.
Gli aspetti negativi
Primo, il protagonista. Mi aspettavo che il viaggio fosse anche un percorso di crescita di Jonathan, purtroppo non è così. Oltretutto non si riesce a capirne l’età: certi atteggiamenti sembrano rispecchiare una certa maturità, altre volte sembra un bambino, in alcuni dialoghi addirittura un adulto…
Secondo, i tempi e il tempo. Gli accadimenti si susseguono in un tempo indefinito, ad un certo punto si fa riferimento al fatto che siano passati cinque anni dall’invasione aliena ma la narrazione è incongruente e si contraddice tra le righe. Ad esempio a un certo punto trovano ancora case (abbandonate) con cibo mangiabile…
Terzo, i buchi di trama. A volte le cose accadono senza una ragione plausibile, altre sembra che si sia cercato in stesure successive di metterci una toppa che però non sempre riesce a ricucire il tutto. Ad esempio a un certo punto Jonathan ritrova un diario tra le mani di un cadavere, diario che poi legge nei momenti più impensabili e grazie al quale si cerca di dare una circolarità alla storia ma, senza aggiungere altro per non spoilerare, non riesce in questo intento.
Quarto, i dialoghi. Spesso sono davvero surreali, altre volte banali, in poche occasioni veramente efficaci.
Quinto, i comportamenti. Ci sono dei personaggi che si comportano inspiegabilmente, che cambiano atteggiamento in cinque minuti senza nessun motivo, che non hanno nessuna reazione di fronte a fatti che dovrebbero sconvolgerli e che dicono cose che non hanno nessuna relazione con quello che sta succedendo.
Ebbene, sì, ho faticato molto con questo romanzo nonostante la sua brevità e l’accelerazione dell’ultima parte di più facile lettura rispetto al resto del libro.
In conclusione, nonostante vi sia del buono e forse troppa “passione” nell’autore, mi spiace dirlo ma il mio giudizio questa volta non può proprio essere positivo.
Capita, non tutto può piacere e non sempre si riesce a entrare in sintonia con le intenzioni dell’autore. Magari con la prossima opera troverò quel feeling che qui mi è mancato.
Debora Donadel