Recensione La scuola per le buone madri di Jessamine Chan

La scuola per le buone madri

La scuola per le buone madri mi ha incuriosito dalla prima volta che ho visto il post di Oscar Fantastica in occasione della sua pubblicazione, a maggio dello scorso anno, ma che sono finalmente riuscita a leggere solo ora…

A dire il vero non proprio ora: ho fatto passare più di una settimana da quando l’ho finito per metabolizzare il tutto e scrivere qualcosa al riguardo.

Trama

Frida Liu è una donna in crisi. Il suo lavoro non è all’altezza dei sacrifici fatti dai suoi genitori, immigrati cinesi, per permetterle di frequentare buone scuole.

L’ex marito Gust l’ha lasciata per una ragazza più giovane di lei, fissata con il salutismo e magrissima. Solo quando è con Harriet, la sua splendida bimba di poco più di un anno, Frida sente di aver raggiunto quella perfezione che tutti pretendono da lei.

Sì, Harriet è probabilmente tutto ciò che ha, ma è anche tutto ciò che desidera. Fino alla sua giornata peggiore. Perché lo Stato tiene d’occhio le madri come Frida.

E per un solo momento di debolezza, adesso il destino di Frida dipende dal giudizio di una serie di funzionari governativi, che devono decidere se inviarla in un istituto degno del Grande Fratello dove decretare il successo o il fallimento dei suoi sforzi genitoriali.

Davanti alla possibilità di perdere Harriet per sempre, Frida deve dimostrare che una cattiva madre può essere salvata. Che può imparare a essere buona.

Recensione

“Anche questa notte Frida non riesce a dormire. Deve dire al giudice del tribunale della famiglia che Harriet non è stata maltrattata, non è stata trascurata, che sua madre ha avuto solo una brutta giornata. Deve chiedere al giudice se ha mai avuto una brutta giornata. Nella sua brutta giornata, aveva bisogno di uscire dalla casa della sua mente, intrappolata nella casa del suo corpo intrappolata nella casa in cui Harriet stava nel suo girello con un piatto di crackers a forma di animale.”

Questa è una delle più terribili distopie che io abbia mai letto. Nel senso che questo tribunale della famiglia immaginato dalla Chan fa davvero paura soprattutto a chi genitore lo è veramente.

Perché a chi non è mai capitato un momento di distrazione? A chi non è mai venuto in mente di ritagliarsi un po’ di tempo per sé stessi, soprattutto quando i figli sono piccoli e ti succhiano tutte le energie e ti rosicchiano la pazienza? Chi non gli ha rifilato qualche merendina stanchi dei capricci, dei rifiuti del cibo preparato magari con grande cura?

Ma nel mondo de La scuola per le buone madri questi sono tutti comportamenti che portano alla denuncia al Tribunale della famiglia. E in alcuni casi portano perfino alla reclusione in questo fantomatico istituto.

Ma non solo. La Chan affronta anche il delicato tema della discriminazione razziale, lo fa con proprietà e conoscenza visto che lei è, come la protagonista, americana figlia di cinesi immigrati.

Nella prima parte del libro questo elemento è sottotraccia, secondario rispetto alla tragedia che sta sconvolgendo Frida.

“Per quanto ne sappia Frida, lei è l’unica asiatica. Gust è l’unico uomo bianco in completo che non sia un avvocato.”
"Americani bianchi rumorosi che occupano spazio. Lei non ha mai rivendicato il suo spazio. Gust le diceva di smetterla di scusarsi, di smetter di fare la bacchettona piagnucolosa. Ma forse alcune persone non sono destinate a saper rivendicare il proprio spazio. Lei lo ha preteso per due ore e mezzo e ha perso la sua bambina."

Per diventare molto più forte e concreto in seguito, anche e soprattutto nel confronto con le altre mamme della scuola, quasi tutte nere e ispaniche. Frida si sente in quel contesto come si è sentita tutta la vita: fuori posto, non abbastanza bianca per essere considerata una vera americana, ma neanche parte delle minoranze più rappresentate.

"Roxanne ha detto a Frida che non capisce. «Non puoi» dice Roxanne. «Non mi interessa quanto hai letto sull’intersezionalità. Non dovrai mai preoccuparti che sparino a Harriet. Puoi portarla ovunque. Non la tormenteranno. Frida non ha spazio di discussione. Lei è per Roxanne quello che Susanna è per lei. Il tipo più accettabile di asiatico. Livello universitario, niente ristorante, lavanderia, fruttivendolo, non è una rifugiata."

E questo si collega a un altro tormento che affligge Frida durante la permanenza nella scuola. Sua figlia è affidata all’ex marito e alla sua nuova compagna, Susanna, bianca, ricca, magra, salutista, per certi versi quella che qui da noi chiameremmo “mamma pancina” pur non essendo veramente madre.

"Che importanza poteva avere giocare con le bambole nere se Harriet non ha amici neri? Quando mai Harriet incontrerà un altro bambino cinese? Frida ricorda che le persone ridevano quando i suoi genitori parlavano mandarino, imitando il loro accento. Quando è successo nella sua infanzia, voleva sparire. A volte voleva morire. Odiava vedere la propria faccia allo specchio. Susanna non saprà come consolare Harriet, se succede qualcosa del genere. Le propinerà dei luoghi comuni sull’uguaglianza razziale, ma non potrà dire: “È successo anche a me. Sono sopravvissuta. Sopravviverai”. Non potrà dire: “Questa è la nostra famiglia”. Tutto ciò che Susanna sa sulla cultura cinese viene dai libri e dai film. Senza la sua vera madre, Harriet potrebbe crescere odiando la sua parte cinese."

La crudeltà vera di questa distopia viene messa in atto in questa scuola. Non scendo in particolari per non anticipare troppo ma vi assicuro che la separazione dai figli viene esasperata, disumanizzata in modo così malvagio e perfido che leggendo certi passaggi era così grande l’orrore che avrei voluto lanciare il Kindle contro il muro!

"Sono una cattiva madre. Ma sto imparando ad essere buona."

È sull’aspettativa della predestinazione del ruolo di madre che grava su ogni donna, che aleggia l’ombra del patriarcato, radicato nella società a prescindere che questa sia retta da un genere o dall’altro.

L’autrice esaspera questo costrutto sociale, talmente instillato anche nelle donne stesse da rendere la protagonista e le sue compagne di “scuola” rivali in una crudele competizione che le allontana dal senso di sorellanza che, forse, potrebbe salvarle. Uno scenario che mi ha fatto spesso ripensare a Il racconto dell’ancella della Atwood.

“Le madri devono raccontare tutto, trasmettere saggezza, prestare la loro totale attenzione, mantenere il contatto visivo in ogni momento.”
“Una buona madre riesce a fare qualsiasi cosa.”
“Vorrebbe dirgli che questi edifici sono impastati da feromoni e rimpianti. Ostilità. Desiderio. Che è possibile smettere di fare caso alla tristezza. Che il suono delle donne che piangono ora assomiglia al rumore bianco.”

Infine, riducendo la storia all’osso, sorgono prepotenti diverse considerazioni sull’essere genitori oggi, ieri, domani, anche senza il tribunale di famiglia distopico di questo romanzo.

Conclusione

La scrittura della Chan ha dei difetti? Sì, in primis alcuni dialoghi che sono davvero didascalici e poco credibili. Poi le tante scene e concetti ripetuti con le quali credo l’autrice volesse dare ulteriore peso alla distopia che aveva immaginato ma che personalmente ho trovato inutili: la storia è così forte da non aver bisogno di ulteriori sostegni.

È comunque un romanzo che vi consiglio caldamente perché credo sia un perfetto esempio di come un’idea potente di distopia possa scuotere gli animi e far riflettere. Uno di quei libri che vi resta dentro, di cui non dimenticherete nulla. Purtroppo e per fortuna.

Debora Donadel

La scuola per le buone madri di Jessamine Chan – Traduzione di Simona Vinci – Oscar Fantastica Mondadori – Pagine: 408 – Data di uscita: maggio 2023.

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