Recensione: “La porta del cielo” di A. Llurba.

TRAMA:

Questa è la storia della lotta per la sopravvivenza di Estrella e delle sue “sorelle” che vivono rinchiuse nell’Astronave, un tugurio dove aspettano il momento in cui i Padri creatori le porteranno finalmente alla costellazione di Orione, alla Porta del Cielo. È il Comandante che le ha portate lì: lui è il profeta di questi dèi astronauti e abusa di tutte queste ragazze come castigo che permetterà loro di raggiungere la salvezza tra le stelle. Ma Estrella, la più piccola, vuole sapere, capire, e mette in discussione tutto. Finisce nella fossa, in punizione, senza nulla da fare se non ricordare come è finita in quel buco di terra con solo gli scarafaggi ad ascoltarla. Il romanzo di Ana Llurba è un’opera radicale, new weird, di genere e sul genere, una storia di donne oppresse, costrette in ruoli imposti con la forza dell’ordine simbolico e fisico, che esplora i miti e le religioni per raccontare il femminismo, la maternità, la sessualità.

RECENSIONE:

Grazie alla Eris Edizioni vi presento oggi una super novità, “La porta del cielo” di Ana Llurba con traduzione a cura di Francesca Bianchi e illustrazioni di Ambra Carlaschelli.


Quello che ci si apre davanti è uno scenario non proprio incoraggiante, siamo all’interno dell’Astronave dove alcune ragazze sono segregate per la loro sopravvivenza. Non possono uscire da lì altrimenti l’aria fortemente tossica che c’è all’esterno le ucciderebbe all’istante; attendono speranzose il momento in cui il Comandante le condurrà alla Porta del cielo, un luogo sicuro dove non esistono sofferenze né privazioni.

Tuttavia, pagina dopo pagina, la narrazione acquisisce toni sempre più plumbei e ambigui; le ragazze vengono sottoposte a una sorta di terrore psicologico e rassicurante ignoranza. Assistiamo a vicende illogiche ma calate in un contesto di apparente normalità.

L’angoscia è solo una delle tante emozioni che ho provato, infatti si respira a pieni polmoni un’atmosfera cupa dove la speranza è un miraggio e di consolatorio c’è ben poco.
La forza del libro sta nell’essere agevole, data la sua brevità, e nella climax ascendente di tensione, direi al limite del claustrofobico, che presagisce una rivelazione tardiva e pertanto ancora più dirompente.
Lo sguardo monografico ed estraniato di Estrella è quello che ci immette in questa sinistra realtà e la bravura della scrittrice sta nel farci prendere coscienza della coltre di fandonie che la circondano prima ancora che lei stessa se ne renda conto.


Il libro non è perfetto, ci sono delle ingenuità a livello sia stilistico sia d’intreccio che mi hanno lasciato dubbiosa, come ad esempio la caratterizzazione dei personaggi che ho trovato decisamente lacunosa ma che mi sento di giustificare poiché il parterre sembra avere una funzione di “contorno”; ciò che interessa all’autrice è dar vita a una storia che indaghi alcune delle brutture del nostro tempo, reinventando elementi significativi e associandoci temi come maternità e riscoperta della propria femminilità, motivo per il quale viene incluso nella categoria “femen”.


In più gioca a suo favore il fatto che ho continuato a rimuginarci sopra per giorni e giorni e questo deve pur significare qualcosa, no? Per me è un chiaro indice che il romanzo ha centrato l’obiettivo lasciando un segno.

Ave fenice stellare, prega per noi astronaute adesso e nell’ora della nostra ascensione. Amen.

Non sapevo nulla né dell’autrice né del romanzo e in questi casi il biglietto da visita per eccellenza è la sinossi, leggendola mi è subito rimasta impressa la frase “esplora i miti e le religioni”. Volevo decisamente saperne di più e, infatti, si tratta di uno dei cardini portanti del romanzo: un’implicita riscrittura in chiave fantascientifica di uno dei momenti fondamentali della religione cristiana. Un’aurea di misticismo che per tutta la durata della lettura cinge nel suo abbraccio ancestrale gli orrori che vengono narrati.


Ana Llurba compone un tagliente romanzo slipstream ma che contiene elementi “fanta-orrorifici” misti ad allegorie socio-culturali che lo avvicinano al new weird; declina alla maniera della space opera la potenza annientatrice del falso, c’è violenza e serpeggia anche una sorta di ambiguità sul concetto di bene e male data talvolta dall’egotismo maschile.
La porta del cielo” tuttavia non è solo un racconto da accludere a questa sfera letteraria, ma da intendersi anche come un atto di denuncia alla società odierna.


Llurba con grande audacia mette nero su bianco una storia drammatica di emancipazione e riflessione che solo apparentemente appartiene a un luogo e a un tempo indefiniti.
Alla fine, al di là della trama avvincente, ti porta a riflettere su quanto le nostre menti siano facilmente suggestionabili quando ci si trova all’interno di un particolare contesto.

Elisa R

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